“La favola mia”. Panariello si racconta al Goldoni
Lo show racconta, in una magica unione tra ironia e malinconia, la vita dell’artista viareggino. Ad accoglierlo, una platea stipata negli spazi del Teatro Goldoni dopo due anni di attesa a causa della pandemia
Dall'infanzia al successo. Il ricordo degli spettacoli più noti, degli amici, dei celebri personaggi inventati e del fratello Francesco. Una vera e propria avventura tra comicità e riflessione
Alcune case, qualche albero, dei semplici cubi in legno e un vecchio chino su una panchina. Il tutto, illuminato dal chiar di luna. Si è aperto così “La favola mia”, il nuovo spettacolo di Giorgio Panariello che racconta, in una magica unione tra ironia e malinconia, la vita dell’artista toscano. Ad accoglierlo, una platea stipata negli spazi del Teatro Goldoni dopo due anni di attesa a causa della pandemia. L’esibizione, inizialmente prevista per il 31 marzo 2020, era stata posticipata prima al 10 ottobre dello stesso anno e poi al 27 aprile 2021. Tutto annullato, fino al 24 febbraio. Nel pomeriggio, prima dello spettacolo, la visita alla statua del cane Snoopy. “Che c’avete ancora il biglietto? Non l’avete ancora buttato via?” ironizza dal palco.
Un viaggio che parte da una Viareggio degli anni ‘70/’80 in cui Giorgio è prima un bambino e poi un ragazzino amante del rapporto con gli altri, con il pubblico – nonostante una vita difficile che lo vede adottare dai nonni -. Lo dicono tutti, anche gli insegnanti. Ma lui non ci sta, va dritto per la sua strada e si iscrive all’istituto alberghiero. “Volevo formarmi, imparare un lavoro vero per essere famoso e non fermarmi alla terza media. Ora invece, i famosi sono proprio quelli con la terza media” (ride ndr). I cubi prima sparsi, formano adesso una scala, proprio come quella che Giorgio ha dovuto salire per arrivare al successo. Così, il racconto diventa l’occasione per ricordare i grandi successi (Torno sabato, il principale) e per ringraziare tantissimi amici che lo hanno accompagnato fino ad oggi. Due quelli del cuore: Carlo Conti e Renato Zero (di cui naturalmente, non fa mancare l’imitazione). E che dire dei celebri personaggi inventati semplicemente guardandosi intorno; la Signora Italia, il Naomo, Mario il bagnino, solo per citarne alcuni. Poi, c’è un momento commovente, il ricordo del fratello Francesco. “Lo chiamavo Franchino, lui invece mi chiamava l’artista. Niente è mai stato semplice per lui, io sono stato più fortunato. È caduto in un buco, il buco più piccolo dove si possa cadere (quello della droga, ndr) e poi, d’improvviso, ci ha lasciati. Mi lascia un rimorso, un rimorso della vita, quello di non avergli dedicato abbastanza la mia”. Il sipario si accinge a chiudersi su un fragoroso applauso. Identica scenografia iniziale. “Oh dove sei stato?” dice il vecchio a Panariello. “Eh, ora te lo racconto” risponde lui. Tutto concluso, gli spettatori si preparano per il ritorno a casa. Ma ecco che, dal buio del palcoscenico, insieme ai tecnici già intenti a sistemare, appare lui: il celebre Sirvano. Dice poche cose, una di rilievo: “Ma vaìa vaìa vaìa”.
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