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“Aggiungi un posto a tavola”: un carnevale di intenzioni e situazioni. Recensione

Domenica 15 Dicembre 2019 — 17:59

Le certezze nel miracolo dell’esistenza e nella fede sono due ingredienti fondamentali per mantenere la morale e l’etica del curato di paese tanto salda da dar vita ad un equilibrio comico essenziale e funzionale

di Claudio Fedele

Un parroco di un paesino di campagna, una comunità tranquilla e spensierata: fatta di persone oneste e solidali, un sindaco burbero e arrivista nonché padre di una giovane bellezza vittima dell’immancabile caso d’amore non corrisposto, una missione da compiere per volontà divina quasi impossibile da portare a termine, il tutto alimentato da musiche e canzoni che colorano una storia incorniciata in uno spaccato dell’Italia del nostro tempo dove i luoghi comuni e i tanti snodi narrativi mettono l’accento su alcuni dei topoi del genere della commedia universale. 

Ispirato liberamente a “After me the deluge” di David Forrest, la storia di Don Silvestro (Gianluca Guidi) in questa produzione ambisce a voler essere un punto fermo nel panorama teatrale nazionale, vuole farlo perché gode di un’eredità musicale di notevole spessore, parliamo di testi divenuti iconici grazie all’interpretazione di Johnny Dorelli, e non nasconde il desiderio di imporsi sul pubblico dietro a timide sortite o trovate di poco effetto: tutto in questa pièce sprigiona energia e carica emotiva che punta a travolgere lo spettatore, non lo invita a prendere parte alle vicissitudini dei personaggi rappresentati, semplicemente lo strappa dalla sua (s)comoda realtà per catapultarlo in una giostra pirotecnica di colori e siparietti che pur non rivoluzionando niente sotto il profilo letterario o drammatico, rafforzano una formula di intrattenimento che alimenta il successo dell’opera stessa. 

Don Silvestro, interpretato da Gianluca Guidi, è incaricato da Dio di costruire un arca per salvare il suo gregge da un imminente secondo diluvio universale, l’iter attraverso cui l’intreccio si dipana è un’escamotage narrativo necessario, nella prima parte, per mettere in scena al meglio i comprimari della storia, dal tonto Toto alla ingenua Clementina, fino al sindaco Crispino ed alla sensuale Consolazione. Silvestro è un personaggio passivo, gioca in sottrazione il suo ruolo, perno fisso su cui ruotano la psicologia ed i desideri degli altri e grazie a cui lo spettatore può godere del privilegio di instaurare un rapporto di simpatia ed antipatia a seconda dei suoi gusti; persino Dio, tanto onnisciente quanto sbadato, acquista di carisma solo ed unicamente grazie alle battute con il suo parroco.

Le certezze nel miracolo dell’esistenza e nella fede sono due ingredienti fondamentali per mantenere la morale e l’etica del curato di paese tanto salda da dar vita ad un equilibrio comico essenziale e funzionale: l’umorismo in “Aggiungi un posto a tavola” è tanto caricaturale e visivo, perché al linguaggio della voce vuole anche il supporto del linguaggio del corpo sulla scena, da godere di una sua vis che non cade mai nel banale, nello scontato o, peggio ancora, nello scurrile. Impostato in un alternanza tra “detto e non detto”, facendo dell’allusione il proprio cavallo di battaglia, supportato delle idiosincrasie dei molti che affollano il palco, la risata stuzzica dalla prima scena e non perde mordente per tutta la durata dello show: è fisiologico un calo qua e là, ma quando non siamo portati a ridere, quando le sfumature dialettali non fanno breccia nel cuore del pubblico, subentra comunque l’empatia verso i personaggi che, in quanto tali, vengono valorizzati maggiormente assumendo connotati realistici ed umani. 

Equilibrio e cura nella scrittura, ma allo stesso tempo tanto sfarzo in una scenografia che ruota letteralmente su se stessa, mettono in luce lo sforzo produttivo, l’impegno tecnico a cui si affiancano le performances efficaci di un nutrito cast di attori ed attrici ben affiatati: se Gianluca Guidi, con la sua compostezza, la sua finta moderazione, la sua calma è perfetto nei panni del suo alter ego, altrettanto da encomiare sono Camilla Nigro, nel ruolo di Clementina, l’angelo buono (ma tentatore) di Silvestro su cui è stato fatto un notevole lavoro di recitazione, trucco e acconciatura: lontana anni luce da una sensualità erotica maliziosa, la Clementina della Nigro è la perfetta incarnazione della ragazza infatuata di un amore impossibile, tragedia umana abilmente proposta come pura commedia, distillata in siparietti tanto caricaturali che solo se analizzati con attenzione rivelano un’insoddisfazione sessuale ed esistenziale che se estrapolata dal contesto porterebbe ad un dramma interiore profondo. 

“Aggiungi un posto a tavola” è proprio questo: un carnevale di intenzioni e situazioni. 

Chi ha una storia tragica o senza scontato lieto fine suscita il riso, mentre chi potrebbe avviarsi fin dal primo istante ad un happy ending scontato cerca di complicarsi l’esistenza con sottigliezze banali ma coerenti con la realtà e l’atmosfera della storia (il caso di Toto e Consolazione). 

La seconda parte della pièce è quella più filosofica, più riflessiva ed elaborata, cerca un umorismo meno graffiante, meno bucolico, vuoi perché al diluvio si deve comunque giungere, vuoi perché le peripezie di Don Silvestro aumentano (o si sommano) e sono sempre costellate di nuove difficoltà. 

Nell’ultima mezzora trova voce la morale dell’opera, ci si interroga sul volere di Dio, su ciò che l’uomo ha appreso da Dio, su quanto Dio abbia potere su di noi e quanto noi abbiamo su noi stessi e gli altri, cosa può succedere se l’amore del Signore viene meno verso l’uomo, ma non quello dell’uomo verso i propri simili: lo spirito di solidarietà, di sacrificio, di bisogno e di fratellanza. Elementi, questi, che non possono trovare un valore secolare in un’opera che fa della religione un casus belli attraverso cui sciogliere una storia che però, al di là del concetto di divinità, pone su un altare più alto il grande pregio che Dio ha dato a l’uomo ed alla donna: il libero arbitrio. 

Sacrificando se stesso per salvare gli altri suoi compaesani, disobbedendo a Dio, Don Silvestro non pecca di hybris, ma valorizza il precetto religioso più bello di tutti: ama il prossimo tuo come te stesso. 

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