Mister quella volta aveva ragione, ora sì che siete il Livorno
Le cinque facce del Livorno: dominante con il Piombino, resiliente con la Colligiana, grintoso con il Ponsacco, maturo con il Tuttocuoio e concentrato con il Castelfiorentino
Dopo la sconfitta con il San Miniato l'allenatore Buglio si sfogò dicendo che queste prestazioni non erano all'altezza della storia amaranto. La batosta infatti non arrivò sul campo ma sugli spalti con la squadra che venne circondata dai fischi del Picchi. Da lì la risalita. Cinque vittorie di fila, un gruppo che è diventato squadra e un rapporto con la Curva che è diventato amore reciproco
di Giacomo Niccolini e Filippo Ciapini
Forse serviva. Serviva quello schiaffo brutto, ruvido, duro, ricevuto a freddo. Serviva quello 0 a 2 in casa contro un inaspettato San Miniato che sul verde del Picchi si è trasformò in un mattatore di un toro fin troppo ammansito.
Era il 21 novembre e arrivò la doccia più ghiaccia mai fatta dall’US Livorno 1915 in questo campionato d’Eccellenza. Un torneo che non va molto per il sottile a cui forse la nostra maglia amaranto non era più abituata da tempo. Ma amaranto, dal greco, significa che non appassisce mai. E così come la voglia di esserci oltre ogni categoria. Anche quella, nel cuore dei tifosi e di chiunque indossi questa casacca, non può e non deve mai appassire.
Così ecco che una brutta caduta diventa un trampolino per una spinta decisiva. Quando tutto sembrava portare ad un improvviso baratro ecco l’orgoglio. L’orgoglio di sporcarsi le mani con la categoria.
L’orgoglio di capire che sì siamo il Livorno e che ora dobbiamo risalire dal baratro. Da ogni baratro che abbiamo subito. Un film scorso forse fino a quel momento fin troppo veloce davanti ai nostri occhi, così tanto veloce che non siamo riusciti ad afferrarne la trama. E invece ecco quel 2-0 che scuote. Come a dire: “Oh Livorno! Questa è l’Eccellenza e capita anche di perdere“.
Una sconfitta che ha lavato la patina di superomismo che ci eravamo messi addosso. Pillola rossa o pillola blu. Fino a quel momento vivevamo come in una realtà fin troppo edulcorata. Poi è arrivato Morpheus che ci ha riportati nel Matrix, in quell’inferno reale fatto di gomitate, tribune stampa inventate, campi sportivi al posto di stadi. Ecco ci siamo. Siamo qui.
E senza le star, senza i nomoni, senza gli special guest Torromino, Bellazzini e Vantaggiato abbiamo ritrovato la mentalità da miniera di sale. Da angelo nel fango. Cinque vittorie. Cinque di fila. Un solo gol subito in cinque gare. Mentalità vincente. Difesa registrata. Attacco che gira. Mister in sintonia con il gruppo. In cinque partite gli amaranto hanno mostrato più facce, quella dominante di Piombino, quella che non si lascia prendere dagli spettri del passato e rimonta contro la Colligiana, quella che lotta compatta e unita nel fango del Comunale di Ponsacco. E ancora la squadra matura che si porta in vantaggio e non rischia per portare a casa i tre punti in un campo neutro come quello di Seravezza e infine un gruppo che non si lascia trascinare dalla foga, che nonostante quattro legni rimane concentrato. Gli amaranto sono camaleontici, sono finalmente un gruppo, sono un’unica cosa con la Curva.
Perché in queste cinque partite abbiamo assistito anche a un progressivo innamoramento reciproco. Prima c’era timore reverenziale, un saluto e arrivederci. Da dopo il Piombino ogni vittoria è stata festeggiata con gli abbracci della gente, ogni rete di protezione è stata scavalcata. I calciatori fischiettano, saltano, si tengono per mano e cantano con la Curva: “Non solo alla partita io sarò con te, quello che io sento è un amore dentro”. Perché il Livorno lo si tifa tutta la settimana, ogni minuto che passa, ogni secondo. Il giorno della partita chiunque si metta una maglietta amaranto sa che a prescindere da tutto soffrirà, anche se vincerai 6-0, anche se ti chiami Livorno. Già, soffrire. Soffrire con intelligenza. Senza scomporsi. Perché è giusto farlo. Perché fa bene. Perché quaggiù i regali sono già tutti scartati e ai bambini hanno già svelato che Babbo Natale non esiste.
Buglio al termine dello 0 a 2, dopo il bagno di fischi, dopo la delusione dei tifosi, dopo le corde vocali lacerate per l’arrabbiatura, con un filo di voce in sala stampa, nel post partita, disse: “Stasera abbiamo capito cosa significhi giocare per il Livorno”. Così parlò il mister. E così la squadra lo ha metabolizzato, digerito fino all’ultima sillaba e messo in pratica nella sua accezione più vera e cruda.
Ora i brindisi e poi testa al nuovo anno. Torneranno anche i nomoni e correremo il rischio di incrinare la mentalità operaria. Ma adesso c’è qualcosa in più. C’è un gruppo che sa cosa significa sbavare per tre punti. C’è un gruppo che sa di potercela fare contro tutto e tutti. C’è un gruppo amaranto, che non appassisce mai.
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