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Finetti, il maestro di scherma “Zen” che crede nel gioco di squadra

Martedì 12 Marzo 2019 — 08:14

È la volta di Dario Finetti, nato nel 1994, maestro dell'Accademia della Scherma di Livorno. La scherma? Non è solo uno sport individuale perché senza gruppo alla spalle "è praticamente impossibile vincere"

di Filippo Ciapini

Terzo episodio del nostro viaggio all’interno dello sport livornese alla ricerca dei giovani che hanno deciso di proseguire il loro percorso sportivo operando da dietro le quinte (foto di Augusto Bizzi). Così dopo Lorenzo VivarelliLeonardo Sireno è la volta di Dario Finetti, nato nel 1994 e maestro dell’Accademia della Scherma di Livorno. Dario ci ha raccontato di come questa passione sia nata per amore di Zorro, il mitico spadaccino mascherato e di come, fortunatamente, la sua avventura in pedana sia sempre stata accompagnata dalla presenza di maestri storici come Mario Curletto e Paolo Paoletti, ma sarà poi con Marco Vannini che si toglierà le soddisfazioni più grandi, prima come atleta e adesso come collega. “Con Marco ci conosciamo dal 2006, un rapporto sincero cresciuto sempre di più e che va oltre la formazione come tecnico, mi ha insegnato davvero tutto, è stato fondamentale per il mio percorso di crescita“. Tra una stoccata e l’altra però, Dario non ha tralasciato il percorso scolastico e, dopo essersi laureato due anni fa in economia aziendale, sta concludendo la magistrale in strategia, management e controllo, una laurea che, però, spera di integrare con quello che oramai non è più una sola passione, ma un vero e proprio lavoro. Dario infatti, dal 2006 è cresciuto, ha voluto dare una svolta alla sua formazione come allenatore viaggiando all’estero ed entrando in contatto con culture lontane dalla nostra, come quella asiatica, per imparare sì i metodi e gli insegnamenti, ma soprattutto capire cosa significa davvero essere Maestro con la M maiuscola.
La maschera di Zorro, infatti, adesso la fa indossare ai suoi bimbi, un compito non semplice, ma che, visti i risultati dell’Accademia della Scherma di Livorno, sembrerebbe svolgere egregiamente e soprattutto con la passione e la volontà di far crescere i propri ragazzi non solo come schermidori. Secondo Dario, infatti, un adolescente che pratica questo sport deve essere consapevole delle decisioni che prende quando si trova di fronte al suo avversario, come una partita di scacchi, ma attenzione, non parlategli di scherma come sport individuale perché sì, in pedana si combatte uno contro uno, ma senza un gruppo alle spalle che ti supporta “è praticamente impossibile vincere“. L’intervista.

DARIO FINETTI INSIEME A MARCO VANNINI

Dario, sono ben 21 anni, cioè da quando avevi solo 4 anni, che sei nel mondo della scherma, un bilancio sulla tua carriera da schermidore?
“Qualche soddisfazione me la sono tolta, dai, soprattutto a livello giovanile dove ho partecipato a gare nazionali e internazionali come la Coppa del Mondo under 20. Un’altra bella esperienza è stata sicuramente la gara satellite della Coppa del Mondo, una sorta di serie B dove i giovani più promettenti si sfidano per entrare poi nel mondo dei grandi”.

Poi hai deciso di stare al fianco degli atleti, a bordo pedana. Raccontaci gli inizi e gli sviluppi…
“Ho iniziato a insegnare mentre tiravo ancora, nel 2010, quando è stata aperta l’Accademia della Scherma di Livorno, c’era bisogno di nuovi tecnici e Marco Vannini, già mio maestro, mi chiese di entrare nella squadra. Una volta raggiunto però il secondo anno di università, non potevo conciliare l’atleta con lo studente, quindi, sono rimasto lì solo come allenatore. Non è stata una rinuncia, è stato un passo avanti. Fortunatamente sta tutto procedendo in maniera molto positiva, oltre ai miei bimbi che sono bravissimi, ho avuto la fortuna di essere circondato in palestra da atleti fortissimi come Edoardo Luperi, Alessandro Paroli, Tommaso Lari e Olga Calissi, persone che, oltre ad avere la mia stessa età, in altri contesti potrebbero non ascoltare i consigli di un giovane allenatore e invece la loro fiducia nei miei confronti non ha fatto altro che aumentare la mia stima, è stato questo il primo passo che mi ha convinto ancora di più sulla mia decisione”.

Come si diventa allenatore? Quale è stato il tuo percorso di formazione?
“Ho dovuto sostenere, tra Roma e Napoli, tre esami, il primo di istruttore regionale, poi quello nazionale e poi quello da maestro. La federazione poi, organizza corsi estivi e tirocini in palestra, è una specie di università dilazionata con tesi finale. A livello di formazione personale, invece, quando avevo 20 anni sono stato due settimane a Copenaghen e un mese a Singapore, per fare degli stage, l’esperienza in terra asiatica poteva essere azzardata, soprattutto per la mia giovane età ed invece è andata alla grande…”

Spiegaci meglio…
“Conclusa quella esperienza, il club dove sono stato, lo Z Fencing, mi ha chiesto di diventare partner, significa che ogni ragazzo di laggiù che vuole allenarsi in Europa/Italia viene da me. E’ una bella cosa non solo perché ti permette di acquisire esperienza (Dario ha già partecipato come tecnico a due campionati mondiali cadetti e giovani e a due campionati asiatici, ndr), ma perché entri a contatto con realtà molto diverse dalla nostra”.

Come ti rapporti con i ragazzi? Quali sono le differenze tra un ragazzo livornese e uno di Singapore? 
“Dei grandi, che vengono chiamati Campioni, se ne occupa Marco Vannini. Gestire i bimbi, invece, non è semplice, devi fronteggiare diversi tipi di personalità, dal guappetto a quello meno bravo che non si sente all’altezza. I quattordici anni sono un punto critico, devi saperli gestire e tenerli con i piedi per terra, però, non nascondo che vederli sorridere e divertirsi con me è veramente bello e stimolante. Per quanto riguarda i ragazzi asiatici, invece, c’è una grossa differenza con l’Italia. Laggiù sono molto rigidi e impostati, c’è un rispetto immenso per il maestro che è un vero e proprio Guru che ti indottrina e ti dice cosa fare. A me questa cosa non piace, i ragazzi devi farli ragionare sul perché delle cose, aprirli la mente in un certo senso, non è questione di fare così perché lo devi semplicemente fare. Fortunatamente con i ragazzi con cui lavoro abbiamo superato queste barriere anche se devo sempre stare molto attento a cosa dico perché loro prendono veramente tutto alla lettera!”.

Le differenze con l’Asia si notano anche in pedana?
“Purtroppo sì. Noi italiani, soprattutto i livornesi, caratterialmente siamo più maliziosi, in questo sport conta molto la furbizia, non è questione di fare la prima mossa, ma è capire quella che farà il tuo avversario, è come una partita a scacchi, devi giocare di anticipo e soprattutto sfruttare al massimo una sua possibile reazione. I ragazzi asiatici, seguendo la loro cultura, pongono davanti a tutto il rispetto e questo, a livello sportivo potrebbe nuocere. C’è da dire, però, che ultimamente molti allenatori italiani, tedeschi e dell’est Europa hanno iniziato a muoversi per tutto il mondo, i ct del Giappone per esempio, sono due europei, uno ucraino per il fioretto maschile e francese per quello femminile. Il fatto che molti tecnici abbiano investito negli Usa e soprattutto nei paesi orientali, non è un caso: la rigidità dottrinale dell’Asia, unita alle competenze tecniche europee, stanno creando un binomio pressoché perfetto ed i risultati si stanno iniziando a vedere già da qualche anno”.

In cosa consistono gli allenamenti di scherma, quanto si allenano i ragazzi? 
“Un allenamento, di base, consiste in lezioni teoriche e tirare. Tirare significa fare gli assalti, una sorta di sparring, detto in gergo pugilistico. Le lezioni con il maestro, invece, rappresentano delle sedute tecniche e teoriche testa a testa. Il lavoro, ovviamente, viene organizzato a seconda dei punti focali della stagione. La nostra palestra è aperta cinque giorni su sette ma dipende tutto dalla persona e dai suoi impegni. I nostri professionisti, per esempio, considerando che nel corso dell’anno fanno in media otto prove di Coppa del Mondo, Europei, Mondiali e tre gare italiane assolute si allenano tre volte al giorno tutti i giorni”.

Facciamo un passo indietro, grazie alla tua collaborazione con l’Asia, è venuto ad allenarsi da voi un ragazzo dal Giappone, parlaci pure di questa esperienza…
“Sì, il maestro della nazionale giovanile del Giappone, che, oltre alla profonda stima reciproca è un nostro carissimo amico, mandò tempo fa la sua squadra ad allenarsi nel nostro club. Da lì i contatti si sono così intensificati così tanto che è stato lui a incentivare questo ragazzo, Rikutu Takeda, a venire in Italia. Lui, essendo studente di Sociologia, voleva conciliare la sua passione per la scherma alla sua voglia di apprendere l’italiano, quindi è venuto un anno da noi all’Accademia per allenarsi ad alto livello e ovviamente studiare”.

E’ riuscito ad imparare un po’ l’italiano oltre che la scherma?
“E’ stata un’esperienza meravigliosa, Rikutu, oltre all’aver imparato perfettamente la nostra lingua, è l’esempio lampante per dimostrare quanto siamo globali nonostante le differenze di culture. Adesso siamo molto amici, tanto che, quando a novembre 2018 io e Marco Vannini siamo andati a fare un camp professionale in Giappone, lui ci ha fatto da traduttore e collaboratore, era un po’ che non ci vedevamo e mi ha fatto veramente piacere. Sono convinto che la nostra amicizia non solo proseguirà nel tempo, ma non escludo, in futuro, possibilità di fare altri interscambi, andare all’estero ha portato entrambi molti benefici, ti apre davvero la mente”.

Come può uno sport individuale darti tutto questo?
“La scherma è uno sport individuale solo per definizione, è chiaro, c’è un singolo che sfida un  singolo. In realtà, no, siamo in due sulla pedana, non corri contro il tempo, devi essere bravo a relazionarti contro il tuo avversario. Alla base di tutto poi c’è una squadra, è ovvio che poi emergerà il campione, ma l’individualità sta solo nella vittoria del titolo in sé. Senza il sostegno del gruppo è praticamente impossibile vincere, con il gruppo ci si confronta e soprattutto si fa amicizia, non ci sono situazioni dove uno schermidore pensi solo per sé”.

Prova a farci capire meglio…
“Vi faccio questo esempio metaforizzandolo con i professionisti Assoluti che si allenano con noi: immagina adolescenti di tredici/quattordici anni che non solo hanno la possibilità di allenarsi insieme ad un giocatore di serie A e della Nazionale ma che quest’ultimo, di sua spontanea volontà li segua nelle gare ed insieme a noi li aiuta e li consiglia nel loro percorso di crescita. La scherma è questo, professionisti che concorrono per le Olimpiadi e si allenano tutti i giorni, che allo stesso tempo sono talmente attaccati ai ragazzi più piccoli che quasi instaurano un rapporto fraterno, sono veramente dei grandi, non è così scontato da fare e da dire. Tutto questo aiuta la crescita dei nostri bimbi che hanno la possibilità di allenarsi ed avere un rapporto stretto con i loro idoli. E’ una cosa meravigliosa che ci inorgoglisce, siamo molto fortunati ad avere persone così nella nostra palestra, sono il chiaro esempio della buona scherma, di come, senza il supporto di una squadra, si vada poco lontano”.

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