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De Raffaele: “Tanta livornesità nel mio scudetto, mi insegna ad andare oltre”

Lunedì 24 Giugno 2019 — 15:46

Il tecnico si è sentito con Massimiliano Allegri: "Abbiamo un buon rapporto, ci siamo dati appuntamento a Livorno. Dove? Sarebbe bello in Comune". E su Pozzecco: "Ha fatto una grande stagione. Nessuno è uscito sconfitto dal confronto finale"

di Giacomo Niccolini

Il gruppo che prevale sul singolo, quella buona dose di “capatosta” salmastrata, che ha un solo timbro di provenienza: made in Livorno, e un “quanto basta” di cuore, sudore e valori imparati a pane e basket. E’ questo il quadro dipinto dal Pinturicchio della pallacanestro italiana, Walter De Raffaele (nella foto online tratta dalla pagina Facebook ufficiale della Reyer Venezia), il tecnico che in quattro anni alla Reyer Venezia ha riportato prima lo scudetto in laguna dopo tre quarti di secolo e poi ha bissato il successo nel giro di due anni. Scuola Libertas, palestra Don Bosco, parquet Basket Livorno, anima livornese in tutto e per tutto. E’ lui indubbiamente uno dei migliori tecnici in Europa che ha il pregio di mantenere l’umiltà del “bimbo” della porta accanto. Perché a Livorno siamo tutti “bimbi”, anche a 50 anni, e Walter non dimentica le sue origini. Anzi. Così dopo un paio di messaggi non ti stupisci che sul tuo cellulare appaia proprio la scritta Walter De Raffaele. Ci sta chiamando proprio l’allenatore campione d’Italia, il coach delle uova d’oro, il Re Mida della Laguna. Ma per tutti, qua a Livorno, è Walter. Sempre e solo Walter. Quello che si ributta nel suo mare a giugno, quello che cammina per strada dando i “cinque” a chi incontra e quello  che, diciamocelo, potrebbe darsene anche un po’… ma è più forte di lui… non ci riesce.
Walter, partiamo… dalla fine. Hai festeggiato?
“Accidenti, anche troppo (ride, ndr). Abbiamo fatto per due sere le cinque del mattino. E’ stata una festa fantastica anche quella di domenica dove abbiamo sfilato festanti tra i tanti nostri tifosi sul Canal Grande di Venezia. E’ stato bellissimo”. 
Intervistato subito a caldo hai parlato di un vero e proprio “capolavoro”. Come mai?

“Si confermo. Il primo scudetto è stato quello dell’innocenza, questo è stato sicuramente lo scudetto della consapevolezza. Perché dietro c’è stato un lavoro più profondo di una squadra che ha avuto tanti problemi. E il capolavoro vien fuori proprio dal lavoro di equipe di un team che durante l’anno ha mostrato tanti problemi di infortunio ma anche tanti problemi che non son venuti fuori grazie alla società e alla coesione che c’è stata  tra questa e lo staff tecnico. Un capolavoro anche di idee e di coraggio perché abbiamo continuato ad avere coerenza di mantenere le nostre idee contro tutto e tutti.

LA SFILATA PER LO SCUDETTO NEL CANAL GRANDE A VENEZIA (foto pagina Reyer Venezia)

A cosa ti riferisci?
“Mi riferisco alle idee tecniche sempre in grande sinergia con la società, perché questa è stata la forza vera, siamo riusciti andando avanti difendendo i nostri giocatori credendoci e facendo alla fine delle scelte molto dure rispetto al roster, mantenendo la nostra identità e difendendo le idee che sono idee che ci avevano già portati al primo scudetto e ad una coppa”.
In tanti hanno detto però che il vero capolavoro lo ha fatto Sassari che con una squadra del genere è riuscita a mettere alle corde un gigante come Venezia…
“Io credo che questi siano i soliti discorsi di chi purtroppo nella vita fa solo di lavoro il fatto di dare giudizi e sono quelli che purtroppo non fanno mai. Sassari invece ha fatto una grandissima stagione, un campionato dove ha vinto anche la coppa e con un roster di altissimo livello, cosa che avevo detto ad agosto, composto da undici giocatori perché ricordiamolo l’undicesimo giocatore è De Vecchi. Quindi questo la dice lunga sulla qualità di questa squadra. Gianmarco Pozzecco ha fatto un grande lavoro e di questo deve esserne fiero. Poi alla fine come ho detto c’è stato un vincitore ma non un vinto perché alla fine, se noi usciamo con un titolo, Sassari esce con tante soddisfazioni. Ma quando arrivi a gara sette così si può dire tutto ma non che sei stato battuto”.
Come gioca questa Reyer Venezia? Quanto di Walter De Raffaele c’è?
“Tutto questo è anche espressione della mia pallacanestro e di cui sono veramente fiero. Una pallacanestro dove comunque la base è molto semplice, dove  c’è il gruppo prima del singolo. E la nomina di Austin Daye come Mvp non è altro che la dimostrazione di questo. Un giocatore che a febbraio ha rischiato veramente molto di uscire dalla squadra e che finisce l’Mvp della stagione. Credo che questo sia il simbolo di questa pallacanestro espressa dalla mia squadra”.
Una stagione quindi, che capiamo dalla tue parole, sofferta. A chi i grazie più grandi?
“Devo ringraziare molto chi è stato intorno a me. Prima di tutto Gianluca Tucci e Alberto Billio che sono i miei assistenti e Federico Casarin che è il presidente perché  abbiamo costruito veramente qualcosa di molto coeso e molto unico che ai giocatori arriva. E’ una società veramente solida che ha idee e programmazione. Questo è un club che programma e che alla base, e questa è la cosa che più mi piace, investe nelle persone e non sui nomi. Prima di cambiare ci pensa mille volte sia i giocatori che tutto il contorno. Questo contribuisce a creare un rapporto molto solido, anche di più di quello che sembra all’esterno”.
A chi la dedichi invece questa vittoria, questo tuo capolavoro?
“Sicuramente alla mia famiglia. A mia moglie in primis ma anche a tutta quella parte della famiglia che vive a Livorno e questa stagione più che mai ha fatto il tifo per me sostenendomi in ogni modo e facendosi sentire particolarmente vicino. A loro la mia dedica”.
Quando torni a Livorno? 
“Fra un paio di giorni sarò di nuovo a casa”.
Lo hai sentito Allegri?
“Si ci siamo sentiti. Ci siamo scambiati tanti complimenti per i successi raggiunti da entrambi. Sempre molto gentile. Tra i tanti ho sentito anche Zenga e Pippo Inzaghi. Con Max, da collega e da livornese, ci siamo scambiati subito alcuni messaggi. E ci siamo promessi di vederci”.
Speriamo di vedervi entrambi, magari in Comune, ricevuti dal sindaco Salvetti, visto che due anni fa, se non sbaglio, non vi fu recapitato alcun invito in seguito al vostro successo tricolore raggiunto in tandem nei vostri rispettivi sport…
“Speriamo, sarebbe bello. Esatto due anni fa nessuno si fece vivo. Speriamo di vederci magari insieme a Massimiliano. Sarebbe bello poter essere ricevuti insieme a Palazzo Civico”.
Cosa c’è in comune tra due allenatori vincenti come De Raffaele e Allegri?
“Credo che la cosa sia più comune ad entrambi sia la gestione dei gruppi, la gestione di tante situazioni, dell’esposizione mediatica che nel caso di Allegri è sicuramente più elevata della mia, ma alla fine la gestione delle tensioni rispetto all’ottenere un risultato sia abbastanza simile”.
Quanto conta secondo te il tuo passato? Mi spiego meglio, quanto conta essere nato e cresciuto in una fucina come poteva essere quella della Libertas prima e nel Don Bosco e Basket Livorno poi, negli anni più importanti della pallacanestro cittadina…
“Conta tanto, credimi. Conta perché mi porto dietro l’umiltà e il lavoro. Conta tanto perché mi porto dietro quanto costa il pane e perché non perdo mai la misura dei valori grazie alla famiglia che ho intorno e conta perché la livornesità ti fa andare oltre ogni sacrificio, oltre ogni fatica, oltre ogni perdita di equilibrio che c’è in questo mondo sportivo ormai abbastanza bacato e fatto solo di giudizi e di questo ne vado particolarmente orgoglioso perché Livorno è Livorno”.

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