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Francesco, cantautore in livornese

Domenica 11 Settembre 2016 — 08:05

Francesco Lenzi, l’ingegnere cantautore in dialetto livornese, tra i primi 10 classificati al festival estivo di Genova con la canzone “Livorno”

“Scrivo in livornese non per far ridere. Le mie canzoni voglio che somiglino a chi sono io. È solo che noi livornesi guardiamo la realtà con ironia”. Lui si chiama Francesco Lenzi (guarda il video nel link in fondo all’articolo), di professione fa l’ingegnere ma nel tempo libero dedica la sua passione alla musica. E da buon cantautore, si esprime nella sua lingua. Il livornese, appunto. “Ho sempre scritto canzoni in italiano e in inglese, o almeno ci ho provato, ma da poco mi sono accorto di come non sia facile descrivere certe sensazioni, certe inquietudini, l’amore e l’odio, senza il proprio dialetto”. “La prima canzone che ho scritto in livornese si chiama ‘Livorno’ ed è nata per raccontare le cose di ogni giorno, la mia città, le persone che ci abitano, il mare che ci tiene svegli e ci addormenta”, dice Francesco Lenzi. “Deve essere questo il motivo per cui sono così belle le canzoni napoletane e quelle romane: se le ascolti ti rendi conto che arrivano direttamente dal cuore, senza censure e senza fermarsi alla dogana dell’italiano”. Un modo per Francesco Lenzi di sfatare anche un mito nei confronti di un dialetto meraviglioso ma spesso abusato. “Canzoni in livornese ne ho sentite un po’ ma spesso, chissà perché, tendono alla volgarità. Io ho voglia di scrivere canzoni in livornese non per far ridere, non perché siano l’ennesima caricatura. Le mie canzoni voglio che somiglino il più possibile a chi sono io e alle persone che ho incontrato per la mia strada. È solo che noi livornesi guardiamo la realtà sotto la lente dell’ironia, non importa se siamo a un matrimonio o a un funerale”.
Francesco, che lo scorso 6 agosto si è ben piazzato al Festival Estivo “International Music Contest” di Genova, si racconta così: “Suono il pianoforte quasi da sempre, un pochino meno del tempo che ho passato a parlare in livornese. Mi sembra che la sobrietà di questo strumento faccia un po’ da contraltare alla sfrontatezza del mio dialetto. Perché le parole da sole non ce la fanno. È con la musica che un testo, che può apparire leggero, si trasforma nell’emozione che tante volte ci ha fatto piangere, ridere o semplicemente rimanere in silenzio, ad ascoltare”.

 

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