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Vent’anni senza il “quasi” premio Nobel livornese Carlo Coccioli

Sabato 5 Agosto 2023 — 13:19

Il 5 agosto 203 scompariva a Città del Messico lo scrittore livornese Carlo Coccioli, uno dei maggiori narratori italiani contemporanei, tra i pochi ad avere avuto una caratura internazionale, il cui nome, quando era in vita, fu più volte associato al premio Nobel per la letteratura

(contributo giornalistico gentilmente concesso e cura del collega giornalista Marco Ceccarini)

Il 5 agosto 203 scompariva a Città del Messico lo scrittore livornese Carlo Coccioli, uno dei maggiori narratori italiani contemporanei, tra i pochi ad avere avuto una caratura internazionale, il cui nome, quando era in vita, fu più volte associato al premio Nobel per la letteratura.
Oggi, vent’anni dopo, è importante non perdere la memoria di questo grande scrittore ed intellettuale, perché tale fu Coccioli, che alla natìa Livorno, come la definiva, rimase a suo modo legato, tanto da tentare un improbabile ritorno alle origini, con tanto di casa presa in Venezia, alla metà degli anni Novanta.
Nato sugli scali Novi Lena il 15 maggio 1920, dopo un’infanzia e la giovinezza passata tra Livorno, la Libia, Firenze e Fiume, si impegnò nella lotta di liberazione partigiana venendo a fine guerra decorato con la medaglia d’argento al valor militare. Si laureò poi all’Istituto orientale di Napoli, prima di fare fin da subito scalpore con i suoi libri.
Capace di scrivere in tre lingue, ossia italiano, francese e spagnolo, traduttore di sé stesso, con i suoi libri pubblicati in una ventina di lingue e diffusi in un centinaio di paesi, Coccioli è stato un cittadino del mondo. Ha vissuto a Parigi, in Canada, Bolivia, Stati Uniti e soprattutto in Messico. In Francia era stato definito il Gide italiano, con chiaro riferimento allo scrittore André Gide. In Messico fu invece considerato l’alternativa ad Octavio Paz.
Tra le sue opere più famose vi sono “Il cielo e la terra” del 1950, “Fabrizio Lupo” del 1952, “L’erede di Montezuma” del 1964, “Documento 127” del 1970, “Uomini in fuga” del 1972, “Davide” del 1976 con cui fu finalista al Campiello e vinse il premio Basilicata, “Piccolo Karma” del 1987, “Budda” del 1990, “Tutta la verità” del 1995. Si tratta di opere in cui traspare tutta la sua grande cultura e soprattutto la sua intensa spiritualità. La sua vita, d’altronde, è stata un percorso spirituale. Ha attraversato, praticandole, ben quattro religioni: cattolica, ebraica, induista e buddista.
Il nome di Coccioli, negli anni Settanta, è stato accostato per ben tre volte al Nobel per la letteratura. Il critico letterario ed accademico Carlo Bo lo definì “uno scrittore alieno”, Curzio Malaparte definì i suoi dialoghi “taglienti, intensi, anche allucinanti”, mentre Pier Vittorio Tondelli, che gli dedicò un racconto nel suo “Weekend postmoderno”, lo nominò “lo scrittore assente” per la sua capacità di essere sulla scena letteraria italiana nonostante vivesse a migliaia di chilometri di distanza.
Eppure, nonostante tutto ciò, Coccioli non è mai stato adeguatamente valorizzato, almeno in Italia, dove ha vissuto poco, è vero, ma dove tuttavia ha sempre mantenuto una casa, prima a Firenze e poi a Livorno.
Se in Italia non ha mai goduto di quella straordinaria popolarità di cui ha invece beneficiato altrove, probabilmente, è perché qualcosa non ha funionato nel mondo culturale ed editoriale italiano, dal momento che i lettori lo hanno amato e seguito anche in Italia. Quello che gli è mancato, semmai, è stato il riconoscimento della società letteraria. Il nipote Marco Coccioli, però, sta facendo un grande lavoro, ormai da anni, per valorizzare non solo la memoria ma anche l’opera letteraria dello zio.
Coccioli, nel privato, era una persona estremamente semplice che negli anni Novanta, quando abitò a Livorno, non ebbe problemi a dare al sottoscritto, allora giovane cronista, la sua disinteressata e sincera amicizia. La sua casa livornese, negli anni che vi abitò, fu un vero e proprio crocevia di intellettuali, uomini e donne di cultura. A casa sua, chi scrive, ebbe l’occasione di conoscere alcuni tra i più importanti esponenti della vita culturale toscana e livornese di quegli anni.
Coccioli ha avuto il merito di introdurre nei propri romanzi il tema dell’omosessualità in una poetica di conciliazione con la fede. È stato, in questo senso, un precursore. Però va anche detto che, in tempi assai diversi da oggi, ha pagato duramente tutto questo. A causa del grande scalpore che suscitò con i suoi romanzi, infatti, agli inizi degli anni Cinquanta dovette abbandonare l’Europa per trasferirsi in America e in particolare in Messico, dopo che sul finire degli anni Quaranta aveva abbandonato l’Italia per la Francia.
Oggi Coccioli è sepolto nel villaggio messicano di Atlixco, nello stato di Puebla, ma aveva espresso il desiderio di essere seppellito a Livorno. Chissà che un giorno questo suo desiderio non possa essere esaudito.
In ogni caso è giunto il momento di riscoprire questo personaggio per valorizzarlo e in particolare valorizzare l’indiscussa originalità della sua opera letteraria. La cultura e la società italiana ed europea devono molto a quest’uomo parco ed ironico i cui romanzi sono stati spesso pervasi dalla sua esperienza religiosa. Occorre che Livorno si riappropri di un proprio figlio, di un uomo che ha avuto il coraggio di parlare in modo esplicito dell’omosessualità in tempi non facili, che però è anche stato uno dei primissimi a trattare il tema dell’alcolismo, nonché un cinofilo convinto che si è battuto fino in fondo contro la vivisezione animale.
Il senso del rispetto e la capacità di parlare di tutto senza pregiudizi sono forse gli aspetti che, almeno nell’idea del sottoscritto, hanno maggiormente contraddistinto la sua persona.
Chi scrive ha avuto modo di conoscere personalmente Coccioli ai primi del 1994, poco dopo che con il figlio adottivo Xavier aveva preso casa sugli scali delle Ancore, nel quartiere della Venezia. L’occasione fu data da un’intervista. In realtà fu anche e soprattutto, quello, il modo per conoscere l’autore traml’altro di un bellissimo brano sulla città, prefazione alla voce “Livorno” dell’opera “La Toscana paese per paese”. In esso, puntando sull’emozionalità, aveva descritto l’anima livornese in modo pressoché perfetto.
Nonostante la differenza di età, nonostante le tante differenze, chi scrive ne fu sincero amico. Se regalò tutte le sue opere letterarie al Comune di Livorno fu anche perché alcune persone, tra cui il sottoscritto e l’architetto Walter Martigli, si dettero da fare affinché ciò si potesse realizzare. Quando tornò in Messico, non prima di aver dato l’ultimo saluto alla città con un memorabile giro in auto in centro e nelle periferie, volle che ad accompagnare lui e Xavier all’aeroporto di Pisa fosse proprio il sottoscritto.
Livorno, negli anni, gli ha intitolato una strada nei pressi degli scali Novi Lena e gli ha conferito la Livornina d’Oro alla memoria. Adesso, secondo quanto risulta, dovrebbe essere scoperta una targa in suo onore al Famedio di Montenero. Questo, almeno, è quanto rientra nei progetti del Rotary Club Livorno. È un progetto antico che, non appena la commissione toponomastica del Comune avrà dato il via libera, dovrebbe essere attuato. Coccioli sarebbe felice di ciò, anche perché era entusiasta del fatto che a Livorno, come a Parigi ed a Milano, esiste un Famedio dove sono ricordati, con lapide, i figli più illustri.
A sua volta Coccioli è stato generoso con Livorno. Oltre ad aver regalato tutte le sue opere letterarie, infatti, attraverso il testamento ha fatto dono alla città anche del suo inestimabile fondo culturale contenente manoscritti, carteggi, lettere private e missive pubbliche, perfino beni materiali. Il problema è che, vent’anni dopo, questo lascito è ancora in Messico. Speriamo che un giorno non lontano questo materiale di grande valore possa finalmente essere portato dove dovrebbe stare: a Livorno, a disposizione dei livornesi e degli studiosi di letteratura.

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