Al Museo della Città la mostra sul corallo
Il corallo è il protagonista della mostra che sarà inaugurata martedì 21 gennaio alle 17 al Museo della Città di Livorno e resterà aperta fino al 16 febbraio
Il corallo è il protagonista della mostra che sarà inaugurata martedì 21 gennaio alle 17 al Museo della Città di Livorno e resterà aperta fino al 16 febbraio.
Promossa da Fondazione Livorno, Comune di Livorno e Rotary Club Livorno con il patrocinio di Regione Toscana e Oma e organizzata da Fondazione Livorno – Arte e Cultura, la mostra ricostruisce la storia della pesca, della lavorazione e del commercio del corallo a Livorno. Una lunga storia, di cultura e identità che ha contribuito a far conoscere la città nel mondo. È curata da Ottavio Lazzara con la collaborazione di Mariateresa Talarico e con il contributo di Marco Mancini dell’Associazione Livorno com’era, dell’associazione La Livornina, della Diocesi di Livorno e della Camera di Commercio della Maremma e del Tirreno. Il percorso propone monili di particolare pregio, antiche immagini della pesca del corallo, della lavorazione delle corallaie nell’opificio di Villa Maria di proprietà della famiglia Lazzara e tanti altri documenti che aiutano a riscoprire questa tradizione e questo antico mestiere cittadino. Una sezione della mostra è dedicata all’arte e alla presenza di oggetti di corallo nell’arte figurativa, in particolare nei dipinti di Modigliani. La mostra è stata presentata venerdì 17 gennaio, alle 12,30 nei locali di Fondazione da:
Riccardo Vitti Presidente Fondazione Livorno
Simone Lenzi Assessore alla Cultura del Comune di Livorno
Luciano Barsotti Presidente Fondazione Livorno – Arte e Cultura
Olimpia Vaccari Presidente Commissione Cultura Rotary Club Livorno
Ottavio Lazzara e Mariateresa Talarico, curatori della mostra
Livorno e il corallo hanno in comune una storia che risale a tanto tempo fa. Nel mar Tirreno, si pescava corallo sui banchi delle isole del Giglio e dell’Elba, già nel 1400, quando Livorno era ancora un piccolo borgo di pescatori e la Repubblica pisana, che già dall’anno mille aveva avuto un ruolo importante nella pesca, commercio e lavorazione del corallo, era considerata la capitale commerciale della Toscana per il corallo. Quando nel 1600 Livorno ottenne il titolo di città e diventò un porto importante, il traffico del grezzo ebbe un grande impulso, grazie anche ai numerosi mercanti di origine sefardita che qui si erano trasferiti con le Leggi Livornine e che promossero la lavorazione del corallo, un’attività che sulle coste del Mediterraneo è stata sempre legata alle comunità ebraiche. Nel 1656, arrivate da Trapani, attraccarono ai moli di Livorno oltre cinquecento imbarcazioni cariche di corallo grezzo da vendere. Probabilmente fu quello l’episodio che dette il via alla nascita della fiera annuale del corallo, alla quale partecipavano i responsabili delle manifatture che resero Livorno il centro della lavorazione e dell’esportazione del corallo mediterraneo. Fu in quegli anni che Giacinto Cestoni, uno speziale autodidatta che ne sapeva “più di quaranta medici” scoprì la natura animale delle spugne e del corallo. Fino ad allora si era infatti ritenuto che il corallo fosse una pianta marina. Marchigiano nato nel 1637, si era trasferito per gestire una spezieria a Livorno, dove si era sposato, dove aveva deciso di assumere la forma toscana del proprio nome, Diacinto, e dove morì nel 1718. Geniale e intuitivo, oltre a scoprire che era un acaro a provocare la scabbia, Cestoni fu il primo a riconoscere l’appartenenza del corallo al mondo animale. Peccato che questa ed altre sue intuizioni rivoluzionarie, basilari per la moderna biologia, furono fatte proprie da altri. E così fu attribuita a un medico marsigliese, Jean André Peyssonel, alla fine del ‘700, la scoperta che il corallo era in realtà una colonia di microrganismi. Il corallo ha affascinato il genere umano fin dall’antichità e veniva utilizzato già 25.000 anni fa per fabbricare piccoli utensili; i Sumeri furono i primi ad utilizzarlo come ornamento prezioso. Da sempre esiste la convinzione che possegga qualità apotropaiche, magiche e simboliche; per questo la collana di corallo è sempre stato un monile immancabile nei corredi delle giovani spose di qualunque ceto sociale e il primo gioiello regalato ai neonati: come braccialettino, collanina, o pendaglio da attaccare alle culle. Il corallium rubrum (corallo rosso del Mediterraneo) ha sempre avuto un grande successo e le manifatture livornesi che lo lavorarono a Livorno ininterrottamente per più di trecento anni, fino al 1959, sono diventate famose in tutto il mondo per la loro particolare lavorazione a botticelle sfaccettate. I più importanti mercanti come i Franco, gli Aghib, gli Ergas Silveira, acquistavano il grezzo e lo distribuivano agli esperti artigiani cittadini per trasformarlo. Poi si occupavano di esportare le varie partite via Lisbona e via Londra nei possedimenti portoghesi e inglesi dell’India, dove erano scambiate con gli smeraldi e i diamanti. I preziosi gioielli e i manufatti visibili nel percorso espositivo di questa mostra presentano in sintesi una lunga storia di identità e cultura cittadina, che si è protratta fino al Novecento con la storica azienda livornese dei Lazzara. Aperta nel 1888, al secondo piano di Villa Maria, in via Calzabigi, si affermò grazie all’importazione del corallo del Pacifico e alla lavorazione del corallo mediterraneo e impegnò quasi 1000 operai, ma soprattutto corallaie, nelle succursali dell’opificio. Anche la presenza del corallo nell’arte ha una storia lunghissima. Nel 1474 Piero della Francesca, nella Madonna di Sinigallia, aveva appeso una collana di corallo con un rametto salvifico al collo del Bambino. E Angelo Bronzino, nel 1575, aveva fissato piccoli rami di corallo alla cintura di un altro bambino, Giovanni dei Medici. Amedeo Modigliani ha spesso guarnito i suoi ritratti e i suoi corpi nudi con gioielli di corallo. Nella copertina del catalogo di questa mostra, Madeleine Verdou (o Verdon), la “Donna con la collana rossa” esibisce la sua collana e il suo bracciale di corallo. Anche l’algerina Almaisa distesa sul divano ed altri nudi femminili, seduti o sdraiati, dipinti da Modì nella sua breve ma intensa esperienza artistica, indossavano gioielli di corallo.
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