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“San Diego o Chernobyl? Il mio pezzo una dichiarazione d’amore per Livorno”

Lunedì 29 Luglio 2019 — 18:15

L’andare in motorino in ciabatte, fare il bagno 365 giorni l’anno e l’odio per la sabbia sono solo alcune degli argomenti toccati da Banhoff che, giocando ironicamente su queste “stranezze”, ha voluto ancora di più accentuare l’unicità labronica utilizzando un tipo di scrittura diretta e aggressiva, in pieno stile livornese

di Filippo Ciapini

Negli ultimi giorni Livorno è salita alla ribalta non solo per le gesta sportive dei suoi nuotatori alle Universiadi, ma anche per un articolo uscito sul magazine online Rolling Stones, “Livorno: d’estate San Diego, d’inverno Chernobyl” (clicca qui per leggerlo). Il pezzo, scritto da Ray Banhoff (pseudonimo di Gianluca Gliori) per la rubrica Gonzo, ha mostrato il lato più nascosto della città di Livorno fornendo uno spaccato crudo ed allo stesso tempo romantico delle “strane” abitudini che i livornesi assumono principalmente nei mesi estivi. L’andare in motorino in ciabatte, fare il bagno 365 giorni l’anno e l’odio per la sabbia sono solo alcune degli argomenti toccati da Banhoff che, giocando ironicamente su queste “stranezze”, ha voluto ancora di più accentuare l’unicità labronica utilizzando un tipo di scrittura diretta e aggressiva, in pieno stile livornese. I diamanti, però, si scalfiscono solamente con i diamanti ed infatti è stata proprio quel tipo di scrittura a scatenare non poche polemiche sui social nei confronti dell’autore del pezzo che è stato accusato di conoscere la città in maniera talmente superficiale da risultare offensiva per i cittadini stessi. Quello che il classe 1982 ha scritto, invece, è una profonda dichiarazione d’amore a Livorno vista da un forestiero, una città che, nel suo immobilismo tranquillizzante, racchiude un vero e proprio ecosistema naturale fatto di franchezza, goliardia e serenità. Raggiunto telefonicamente in esclusiva da QuiLivorno.it, Banhoff ha spiegato le ragioni che lo hanno portato a dichiarare amore a quella che, da cinque anni a questa parte è diventata la sua casa. L’intervista.

Ciao Ray, come mai questo articolo?”
“Sto scrivendo una serie di pezzi sulla Provincia, avevo proposto questo al mio direttore ed ha accettato. Diciamo che non c’è nulla di predefinito, apro il computer e scrivo, ce l’avevo dentro da una vita, non so il perché ero dell’umore giusto per dichiarare amore a Livorno, se fosse stato programmato non l’avrei mai scritto. Non è un articolo di giornale, è un pezzo di costume, Rolling Stones è un faro della cultura sono quarant’anni che scrive di costume e società. Non ho voluto portare una roba costruttiva, ho dato un affresco della città, fortunatamente ho la libertà di scrivere quello che mi piace”.

Come mai proprio Livorno? Cosa ti lega a questa città?
“Livorno da cinque anni a questa parte è casa mia. Vengo da Montecatini Terme, dopo dieci anni di lavoro fuori dalla Toscana avevo progettato di tornare e, dopo una serie di congetture, mi sono ritrovato qua. Volevo una vita a misura mia e Livorno me l’ha data”.

Ecco, il fatto che tu sia solamente livornese di adozione ha scatenato le polemiche di una fetta dei cittadini che ti hanno “accusato” di non conoscere a fondo la città, cosa ne pensi?
“Diciamo che il pubblico su internet tende a essere polemico, specialmente il livornese che ha fatto dell’ironia la sua scuola ma quando si sente attaccato è permaloso. Era normale finire nel calderone. Mi sono arrivati i cosiddetti pipponi dove mi hanno criticato di aver citato solo stereotipi, di aver fatto male alla città, ecco questo no, lo trovo scandaloso, è come dire a Sacchi che non può parlare di calcio perché non ci ha mai giocato. In realtà è una dichiarazione d’amore pura, ho messo aspetti veri e soprattutto belli di questa città, non volevo colpire nessuno nell’orgoglio”.

Come mai hai accostato Livorno a Chernobyl e San Diego?
“E’ un’iperbole, San Diego è una città strafiga, nell’immaginario collettivo viene vista come una città esotica di matti, con la gente che gira nuda per strada, hai mai visto il video su Youtube “Gta Livorno”? Ecco se guardi bene sembra di essere a San Diego. Effettivamente poi anche a livello morfologico sembra la California con i Canyon rocciosi (il Romito ndr) e i vecchietti che fanno il bagno tutto l’anno, qua non esiste l’invecchiamento, son tutti bimbi. Chernobyl, invece, è il niente, un po’ come tutte i posti di provincia l’inverno si respira un’atmosfera completamente diversa, gagliarda”.

Livorno è davvero una città anti-turistica?
“Sì è verissimo e questo posso anche andarlo a dire in piazza, ma aspetta, è un bene che sia così. Immaginati se diventasse come Venezia… Il livornese è geloso del suo piccolo paradiso, è geloso del suo scoglio al mare, non ti dice dove va a fare i funghi, vuole tutelare i propri tesori, io che vengo da fuori lo vedo. Un posto poi, se vuole essere turistico lo diventa, facendo un esempio pratico, a Montecatini ci sono 25mila abitanti e almeno 80 alberghi, è una città a misura di turista, ci sono Ztl ovunque, non puoi fare confusione. Tornando a Livorno, te ce li vorresti 245mila persone nel posto dove ti piace andare? La gente vuole avere i suoi ritmi. L’altro giorno alle cinque e un quarto la macelleria era chiusa, in questo il livornese è geniale. Poi magari è polemico eh, ma lui si vuole godere la sua vita, non vuole noie. Preciso che non volevo essere tranciante in assoluto, è chiaro che questa città la preferisco a Firenze. Ecco in parallelo è più vecchia, molto più chiusa. Livorno non dipende proprio da nessuno”.

Hai citato un sacco di luoghi comuni livornesi dalle ciabatte in motorino, al mare obbligatorio, passando per il livornese medio burbero, secondo te debbono essere interpretati come pregi?
“Si chiama personalità. E’ il carattere, se ne sbattono di tutto, ci vuole consapevolezza per essere così ed è invidiabile, non vogliono essere omologati, questo sì, è molto San Diego”.

Ti cito una frase del tuo articolo, Livorno non te la raccontano mai abbastanza le canzoni di Ciampi o Bobo Rondelli, quanto l’esperienza di farti un giro, cosa intendevi dire?
Volevo togliere l’immagine stereotipata della città romantica di mare, tanto cavalcata nella musica e nell’iconografia in generale. La poesia di Livorno sta nella sua spigolosità, va vissuta, ci metti piede e ti accorgi subito di essere in un posto diverso”.

Cosa che ti piace più di Livorno?
“La costa e il mare. Da Castiglioncello ai Tre Ponti, è devastante, ci sono veramente legato. Non solo, c’è una luce sempre diversa, i tramonti e i loro colori sono sempre diversi. Mi piace viverla, uscire a prendere le verdure in ciabatte, oramai conosco e mi conoscono tutti, è un paesone confortevole, proprio bello, ah, poi mi garba Montenero”.

Nella tua vita non scrivi solamente su Rolling Stones…
“Esatto, principalmente porto avanti soprattutto progetti di fotografia, inoltre ho un sito insieme a Moreno Pisto dedicato alla “cattiva scrittura”, writeandrollsociety.com. Sostanzialmente si rifà a modelli di scrittori come Kerouac che hanno fatto della scrittura diretta e aggressiva il loro pane quotidiano, un po’ come la rubrica Gonzo su Rolling Stones, propongo e scrivo quello che mi pare, ecco (ride, ndr)”.

Che tipo di progetti?
“Nel 2015, insieme alla mia ragazza, abbiamo portato a conclusione FIE, un lavoro ossessivo di quattromila foto ritraenti donne di tutti i tipi che incarnavano il fascino della metropoli. La scrematura, poi, ci ha portato ad un libro di sole cento immagini. La cosa interessante è che divenne un caso nazionale per via dei diritti alla privacy, andammo su tutti i giornali e sulla Rai. La cosa interessante è che allo scandalo gridarono solo i media, anzi, le donne che si riconoscevano erano orgogliose di essere state immortalate, si sentivano dive”.

Spulciando e cercando info su di te, abbiamo visto che ne stai portando avanti un altro…
“Esatto, quello più recente, invece, è Vasco Dentro. Sono due anni in giro per l’Italia a fotografare solo i cantanti delle tribute band di Vasco Rossi (https://bit.ly/2JZ3VLz). E’ un libro online in uscita con Crowdbooks di Stefano Bianchi, stiamo con crowfunding, stiamo raggiungendo la soglia. Sostanzialmente racconto di questi personaggi che, dalla Val d’Aosta alla Puglia, come Clark Kent la sera si mettono il giubbotto e iniziano a cantare, per loro è una sorta di riscatto, sono delle vere e proprie rockstar. Ricordo ancora un tizio di Padova che aveva il truck per spostarsi perché faceva circa 120 concerti l’anno, cioè, nemmeno gli Aerosmith”.

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