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Dieci domande al giornalista Franceschini ospite di LeggerMente

Mercoledì 28 Giugno 2023 — 08:14

Una vita trascorsa tra tre continenti, cinque capitali e una ventina di traslochi in qualità di corrispondente dall'estero per il quotidiano La Repubblica. Giovedì 29 giugno alle 19, negli spazi de Il Chioschino di Villa Fabbricotti, la presentazione del suo ultimo libro “Come girare il mondo gratis. Un giornalista con la valigia” nel contesto di LeggerMente

di Giulia Bellaveglia

Nel panorama dei giornalisti corrispondenti dall’estero, Enrico Franceschini non ha certo bisogno di presentazioni. Firma di spicco del quotidiano La Repubblica, per più 40 anni ha lavorato nelle sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme, Londra, solo per citarne alcune, e intervistato personaggi del calibro di Mikhail Gorbaciov, Yasser Arafat, Tony Blair, Elisabetta II, Neil Armstrong, Usain Bolt e così via. Una vita che Franceschini ha provato a riassumere nel testo “Come girare il mondo gratis. Un giornalista con la valigia”, messo sul mercato da Baldini + Castoldi e in programma nel cartellone della rassegna LeggerMente per giovedì 29 giugno alle 19 negli spazi de Il Chioschino di Villa Fabbricotti. In occasione della presenza dell’autore in città, Quilivorno.it ha voluto rivolgergli 10 domande per conoscerlo meglio.

Franceschini, nel suo libro dice di aver girato il mondo. Ma a Livorno c’è mai stato? La conosce?
“Sì, ci sono stato qualche volta per prendere il traghetto e poi, con molta felicità, anche l’estate scorsa per presentare il mio ultimo giallo in Fortezza Vecchia. Un’occasione nella quale ho avuto modo di conoscere meglio i livornesi e la città, che mi piace molto. Amo molto tutte le città di mare, tanto che ci ambiento sempre tutti i miei gialli”.

Da dove nasce l’esigenza di scrivere “Come girare il mondo gratis. Un giornalista con la valigia”?
“Dal fatto che sono più di 40 che giro il mondo, ho incontrato tante persone che hanno fatto la storia e visitato tanti paesi, quindi volevo scrivere un libro che fosse una specie di manuale di viaggi di giornalismo, e in parte anche di storia. Raccontare gli ultimi 40 anni, i posti dove sono stato, le persone che ho incontrato e anche far capire alla gente come funziona il mestiere di corrispondente estero”.

Il momento più bello di tutta questa carriera?
“Quando ho intervistato Mikhail Gorbaciov al Cremlino poche ore dopo le sue dimissioni, nel 1991 durante il crollo dell’Unione Sovietica. È stato un momento in cui mi sono sentito testimone della storia e in cui c’erano tante speranze di democrazia per la Russia, che purtroppo non sono state mantenute. Speriamo che prima o poi risaltino fuori”.

E il più brutto?
“Più brutto lo associo a più pericoloso. È stato sempre in Russia, due anni dopo, quando ci fu un altro golpe. Io andai a intervistare i capi di questo golpe assediati dai carri armati e dalle cannonate. Ammetto che avevo paura, ma avevo ancora più paura di Eugenio Scalfari, il mio direttore de La Repubblica di allora, se non avessi fatto lo scoop che avevo sotto gli occhi”.

Ha sacrificato qualcosa per questo stile di vita?
“Sì. Ho mantenuto gli amici della scuola e della giovinezza, ma ho sacrificato la vita in una piccola città, vengo da Bologna, e quindi le abitudini di crescere e invecchiare insieme. Non soltanto vedersi su appuntamento, ma incontrarsi per caso in piazza o ai giardini”.

Se tornasse indietro rifarebbe le stesse scelte?
“Assolutamente sì. Nel mio dna c’è l’esigenza di viaggiare, ho una nonna ungherese, quindi questo spirito forse ce l’avevo un po’ nell’animo. Ho sempre desiderato viaggiare e muovermi, anche se quando sono all’estero mi manca l’Italia e quando sono in Italia mi manca Londra dove vivo adesso. Il posto migliore dove mi posso trovare è un aereo tra l’una e l’altra”.

Lei è passato da intervistare i grandi politici agli sportivi più famosi. Qual è il segreto per essere così versatili nel giornalismo?
“A volte scherzo dicendo che ho scritto di tutto senza sapere di niente. In realtà ovviamente non è proprio così, la politica estera è stata il mio pane quotidiano per 40 anni. Ad ogni modo il segreto della versatilità è la curiosità, perché in ogni storia, piccola o grande che sia, c’è qualcosa da raccontare, anzi c’è un romanzo”.

E l’inglese immagino sia fondamentale…
“Se devo dire una battuta politicamente scorretta, posso dire che ho imparato l’inglese sposando un’americana e ho imparato il russo sposando una russa. Poi, dopo due divorzi, penso che avrei potuto studiare le lingue in altri modi” (ride ndr).

Ha ancora un senso un mestiere come il suo nell’epoca dei social?
“Secondo me sì, perché non è vero che ormai sui social si trova tutto. Gli studi, gli approfondimenti, i sondaggi confermano che la migliore informazione vince, statisticamente ha più successo. L’unico modo di sapere di più è avere persone che ti raccontano la realtà sul posto. E questo vale sia per le grandi testate nazionali, che per la stampa locale, che può inviare persone nei piccoli paesi o nei quartieri ed è proprio questo che offre qualcosa in più per convincere un lettore a non accontentarsi dei social ma a comprare o leggere un giornale, cartaceo o digitale che sia”. 

Che consiglio darebbe ad un giovane che vuole intraprendere questo tipo di carriera?
“Di provare a fare la stessa cosa che ho fatto io, cioè partire anche senza un contratto, andare all’estero e offrire i propri servizi ai giornali, alle tv, ai siti italiani, ma di non andare negli stessi posti dove sono andato io. New York, Parigi, Londra sono piene di giornalisti italiani, ci sono altri 3 continenti importantissimi per il giornalismo nel 21esimo secolo, ovvero l’Africa, l’Asia e l’America Latina”.

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