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Lorenzo, lo storico dell’arte che insegna il calcio senza moduli

Domenica 10 Febbraio 2019 — 00:00

Il suo punto di riferimento è Josep Guardiola. Per lui l'allenatore è colui che traccia un percorso e insegna, ai suoi giocatori, a prendere delle decisioni. "Il calcio? E' un bellissimo racconto fatto di emozione e percorsi". Ecco la storia di Lorenzo Vivarelli, l'insegnante-storico dell'arte-redattore, che professa un nuovo calcio

di Giacomo Niccolini

Se per il Vasari il riferimento assoluto era Michelangelo, tratteggiato come Dio dell’arte in persona, per lui Josep Guardiola è il modello per eccellenza di tutti i mister del mondo, primo in assoluto “nell’alto dei cieli”. Ma cosa c’entra la storia dell’arte con una panchina di calcio? Il paradigma esistente di questo apparente connubio dissonante come il ketchup con la cioccolata ha un nome ed un cognome, ed è livornese. Si chiama Lorenzo Vivarelli, classe 1981, ed è uno storico dell’arte, un insegnante, un redattore per la casa editrice La Casa Usher, autore del testo scolastico per medie inferiori Emozioni Visive e… allenatore, di successo aggiungiamo volentieri, degli Juniores del Centro Storico Lebowski nella provincia fiorentina.
La ricerca dell’emozione. E’ questa la chiave che è capace di tenere tutto insieme, di mescolare all’interno di uno shaker fatto di immagini e parole, contatto e sentimento, vittorie dell’anima e sconfitte sul campo. E’ l’emozione capace di servire questo cocktail con il ghiaccio e l’oliva (de gusitbus) la domenica pomeriggio alla fine della partita, o il lunedì mattina davanti al pc acceso per scrivere o correggere un nuovo testo da impaginare o davanti ad un’opera di Michelangelo o, perché no, ad una vittoria perfetta targata Pep Guardiola. Emozione.
Come quella che ha condotto Vivarelli a guidare per la prima volta la squadra “dei grandi” in Promozione, domenica 3 febbraio, contro l’Armando Picchi…
“E’ stata una bella emozione, se di emozioni vogliamo parlare. Per me, cresciuto calcisticamente nella Pro Livorno Sorgenti, dopo aver allenato sempre e, fino ad ora, soltanto le giovanili ritrovarmi catapultato per una giornata al timone della Promozione proprio nella mia Livorno contro il Picchi… beh… è stato forte. Lo storico allenatore che se ne va dopo anni, io che mi ritrovo la panchina tra le mani. E’ stato solo per una giornata, ora torno di nuovo ai miei Juniores, ma che bello. E’ finita zero a zero. E’ andata bene così. Un bel punto”.

IL LIBRO FIRMATO DA VIVARELLI DAL TITOLO EMOZIONI VISIVE

Siamo partiti dall’ultimo capitolo, ma forse è meglio andare per gradi. Storico dell’arte, assistente all’Università, redattore, scrittore di testi… e allenatore… Puoi spiegarci?
“Da una parte il mio lavoro. Il mio cammino professionale. Mi sono laureato a Pisa con il 3+2 a cui ho fatto seguire la scuola di specializzazione, altri due anni di studio. Tutt’ora lavoro ancora all’Università ma in maniera più sporadica facendo anche l’assistente agli esami per Storia dell’Arte Moderna e Storia dell’Arte Contemporanea. Dal 2012 infatti lavoro per la casa editrice fiorentina La Casa Usher, prima come consulente esterno poi come redattore dal 2015. Da una parte la produzione di testi tipica della nostra casa editrice, vale a dire storia dell’arte, teatro, riviste di semiotica e quant’altro. Dall’altra i testi per la scolastica sia per Mondadori, prima, e ora per De Agostini. E lo scorso anno ho avuto anche l’opportunità di scrivere un testo per le medie inferiori dal titolo Emozioni Visive. Il calcio invece inizia da quando avevo sei anni e va parallelo alla mia vita. Ho iniziato a giocare e ho giocato fino ad essere un giocatore nella media, di categoria”.
Fino a che non hai iniziato ad allenare come secondo…
“Esatto. Dal 2010 ho smesso di giocare ed ho iniziato ad interessarmi della panchina. Inizialmente come secondo insieme a Riccardo Cinini con il quale sono stato a stretto contatto per due anni e mezzo alla Pro Livorno Sorgenti. Successivamente lo lavorato insieme a Massimo Arrighi e ho avuto la fiducia di Marco Braccini che è stato il mio primo direttore sportivo”.
E poi sei diventato “mister”. Giusto?
“Nel 2014 ho preso il famoso tesserino Uefa B quello che ti consente di allenare fino alla serie D. Inizialmente ho preso la squadra di Allievi del ’99 con la Pro Livorno Sorgenti con la quale ho vinto anche il campionato. Ho fatto anche un anno di Giovanissimi Regionali e poi sono dovuto andar via da Livorno per lavoro. E sono arrivato a Firenze…”.
E nel frattempo l’incontro con un tuo importante mentore: D’Arrigo che ti ha cambiato completamente il modo di concepire il pallone. E’ così?
“Proprio così. Per me rimanere fermo era dura. Ho dovuto subito trovare qualcosa. Quando hai una passione come per me quella del calcio, che in realtà è un po’ più di una passione, non puoi far finta di non sentirla. Devi andare avanti. Così ecco che durante il corso Uefa B incontro Francesco D’Arrigo che è un docente federale della scuola allenatori. Lui è uno che gira per l’Italia con questi concetti rivoluzionari per il calcio tricolore. Io lo chiamai e io gli dissi: io ho il pane e tu hai i denti… ho la possibilità di convincere un editore, tu hai i contenuti. Perché non provi a scrivere un libro?”.
E così è stato?
“E così è stato. Lui lo ha scritto io sono stato il suo editor. Prima è uscito Il Senso del Gioco e poi Il Primato del Gioco e su questi due libri si è formato un grande seguito di allenatori e di filosofia per allenare”.
Spiegaci meglio…
“E’ come se si parlasse di un’evoluzione del calcio moderno in senso internazionale che passa dalla Spagna, dalle teorie che si sono sviluppate sia nella penisola iberica che in Germania lasciando un po’ perdere il concetto dei moduli e della preparazione fisica. Entrambi i libri sono basati sul concetto che il gioco deve avere il primato su qualsiasi altra forma di allenamento”.
Concetto che riporti sulla tua panchina ogni giorno?
“Un mio allenamento non è un allenamento fisico. E’ un allenamento con la palla che punta a ricreare tutto ciò che accade in campo. Nei miei allenamenti non troverete, da quest’anno specialmente visto che sono diventato un integralista in questo senso, un ostacolo, un birillo… niente di tutto questo”.
E poi c’è una realtà da film che si chiama Centro Storico Lebwoski e che si sposa benissimo con questa concezione tutta naif di un calcio rivoluzionario…
“L’incontro con questa società che ha del surreale è dovuto ad un mio amico, Alessandro Doranti, il quale ha giocato in Terza Categoria per il CSL e mi ha portato da loro raccontandomi ogni volta che tornava la domenica a Livorno di questo grande entusiasmo. Una società che nasce dalla passione di alcuni tifosi i quali, una domenica, non avendo voglia di andare a tifare la Fiorentina sfogliarono le pagine sportive del quotidiano locale e scelsero di andare a fare il tifo per l’ultima in classifica della Terza Categoria: il Lebowski che toccava il fondo con 120 gol subiti, 3 fatti e 0 punti”.
Sembra l’inizio di una fiaba sportiva…
“E per certi versi lo è. I tifosi vanno lì al campo. Si presentano dal nulla e iniziano a tifare per questa squadra. Da lì ad innamorarsi è un attimo. La settimana dopo ripetono l’esperimento. E in poco tempo la acquistano. Per farla brevissima, dallo scorso settembre il nostro club è diventato una società cooperativa sportiva dilettantistica ed è possibile diventare socio e dunque proprietario del club.
In breve, solo per suggerire l’importanza di questo passaggio, possiamo dire che grazie allo strumento cooperativo adesso il Lebowski è davvero una proprietà collettiva dei suoi tifosi. Su questa società considera che ci sono tesi di laurea, documentari e uno studioso che da Oxford viene in curva per studiare il fenomeno Lebowski“.
E quest’anno vai forte… con gli Juniores Provinciali siete in testa.
“Al momento sì. Cinquanta punti fatti su cinquantasette disponibili. Sedici vittorie, una sconfitta, due pareggi ma, non me lo so spiegare, solo un punto di distacco dalla seconda che è Firenze Ovest, una vera e propria macchina da guerra che non mollerà un millimetro di qui alla fine”.
Che filosofia adotti in campo?
“La ricerca sfrenata del gioco. Che non significa buttar via la palla a caso o scendere in campo tanto per divertirsi e basta. Poi c’è da vincere una partita, non è che scendiamo in campo per fare Accademia. Ma lo facciamo in modo che tutti siano coinvolti verso il Gioco. Siamo una categoria che poi deve dare dei ragazzi alla prima squadra e il mio compito è anche quello di aiutare questi giovani a scoprire il proprio talento”.
Una bella concezione… ma è applicabile?
“Partiamo dal presupposto che il calcio ha altissimi livelli di imprevedibilità. Cosa mi metto a fare quindi lo schemettino sinistra, destra te stai al centro, vai passa tira… gol! Non funziona così. Cosa pensi di rifarlo perfettamente la domenica? E come pensi sia possibile? Non è possibile…
E quindi niente schemi? Niente moduli?
“Quindi si abitua il giocatore a fare delle scelte, a prendere delle decisioni. E’ un approccio che sicuramente assomiglia a modelli esterni all’Italia. Siamo abituati a ragionare per schemi 3-4-3 piuttosto che 5-3-2 e quindi anche nei corsi per diventare allenatore tutti spiegano come stare attenti a questo o a quel modulo, o cosa fare quando si incontra un altro modulo ancora. Cioè mettono sulla lavagna roba ferma”.
Una sorta di teoria di calcio fluido. E’ così?
“Qui conta la situazione. Nel momento in cui un portiere va a saltare di testa sul corner all’ultimo minuto cos’è un portiere? No è un attaccante. Quindi l’unità di base è quella di insegnare quali sono le migliori strategie per prendere delle decisioni importanti per te, per i compagni, per la squadra”.
Quindi quale diventa il compito del mister?
“Quello di rendere autonomi i giocatori nel fare delle scelte. L’allenatore non ha mai soluzioni. Le soluzioni sono solo e soltanto dei calciatori. Noi tracciamo dei percorsi e diamo solo prospettive. Non è che ciò è un meno per l’allenatore. Anzi. Devi creare un humus favorevole dove al suo interno i giocatori possano sviluppare le giuste competenza calcistiche. Che non è sempre così semplice”.
Per capire, Vivarelli non schiera quindi un modulo predefinito ad inizio partita? Come scende in campo il tuo Leboswki?
“Non è che non schiero una formazione con dei moduli. Però c’è chi pensa che basti indicare una posizione per stabilire un ordine in campo. E’ chiaro che dobbiamo dare un’impostazione nella preparazione della partita, ma a questa impostazione non diamo il peso di doverci togliere dai problemi. E’ solo un’organizzazione apparentemente formale che nasconde invece infiniti approcci al match. La differenza fra un approccio sistematico e un approccio sistemico. Uno più uno a volte nel calcio fa 42. E quando fa 42 se un giocatore non è in grado di capire perché fa 42 è probabile che sbagli l’espressione finale”.
Arte e calcio. Cosa unisce questi due mondi?
“Sicuramente l’emozione. Il sapersi ancora emozionare per il vissuto”.
E cosa emoziona di più Lorenzo Vivarelli, ad oggi?”
“A me emoziona tanto vedere che i rapporti e le catene che si creano da un punto di vista umano nel mio lavoro volano a livelli alti. Allora mi dico… che bello stiamo creando qualcosa che non soltanto fa esprimere ma anche ci rende fortunati, ci divertiamo e sappiamo trovare anche un risultato”.
Spulciando il tuo profilo Facebook non vediamo mai foto di esultanza, di gioia nello spogliatoio ma immagini… diverse… Come mai?
“Non posto mai il selfie-vittoria prima della doccia o la foto del gol, o dell’esultanza. Perché si creano dei rapporti all’interno del campo da calcio che vanno al di là della vittoria”.
Per te cos’è dunque il calcio?
“E’ un racconto. Se te lo prendi e lo sviluppi in trenta giornate di campionato più gli allenamenti te alla fine devi avere un quadro completo che è fatto anche di percorsi. Io mi fisso sui riscaldamenti, sui momenti in cui i ragazzi si concentrano e lì devono essere liberi di esprimersi perché comunque non sto lì a ripetere loro le cose che devono fare”.
Qual è il tuo modello di allenatore di riferimento?
“Guardiola è il mio mito assoluto. Per me è nell’alto dei cieli. Come Vasari diceva che per lui Michelangelo era Dio, per me Guardiola è inarrivabile. A me piace anche Sarri, Di Francesco alla Roma, De Zerbi mi interessa, Gasperini mi stuzzica ma poi alla fine non lo capisco bene ancora. Guardiola ha spostato davvero l’interesse di chi voleva capire verso altre discipline che non sono solo il calcio. A lui va il merito. Poi se dici Guardiola la gente dice solo Tiki Taka. Ma non sto parlando di questo. A me piace perché è la fusione di tanti concetti e tante scienze diverse. E’ un approccio olistico alla materia”.
Come obiettivo?
“Riportare il Livorno in serie A (ride, ndr). Chiaramente ci vogliono sempre le occasioni, l’esperienza e l’opportunità. Ma il mio obiettivo è porsi sempre meno limiti possibili. E così cerco di vivermela io. Con meno limiti possibili e tanta passione”.

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