La Canaviglia al regista e sceneggiatore livornese Francesco Bruni
Simone Lenzi, ha consegnato nelle mani dello sceneggiatore e regista Francesco Bruni, la Canaviglia, il riconoscimento cittadino per coloro che si siano distinti con opere concrete nel campo civico, sociale, della cultura, delle scienze, del lavoro, della scuola o dello sport
Lo sceneggiatore e regista: "Livorno è un luogo dove venire a riposarmi e rilassarmi, dove poter essere me stesso in mezzo alla gente, dove potermi spogliare del mio ruolo ed essere una persona come le altre"
“Un percorso professionale ricco di riconoscimenti per un talento innato. Ma il premio va prima alla persona e poi a tutto il resto. Un uomo che interpreta il rapporto con gli altri e con la città in maniera delicata, senza clamore e con un affetto profondo” (foto Lorenzo Amore Bianco).
Con questa motivazione, pronunciata di fronte ad una vastissima platea, il sindaco Luca Salvetti, affiancato dall’assessore alla cultura Simone Lenzi, ha consegnato nelle mani dello sceneggiatore e regista Francesco Bruni, la Canaviglia, il riconoscimento locale per coloro che si siano distinti con opere concrete nel campo civico, sociale, della cultura, delle scienze, del lavoro, della scuola o dello sport. David di Donatello, Nastri d’argento e Ciak d’oro, sono solo alcuni dei premi vinti dell’autore livornese. Il primo cittadino ha poi raccontato un episodio che, in passato, lo ha visto coinvolto.
“Una decina di anni fa arrivai allo stadio e alcuni steward mi segnalarono la presenza di Francesco in tribuna. Guardai in quella d’onore, cercai dove solitamente sono seduti i personaggi che vengono allo stadio ma niente, non lo vidi. Girando per i gradoni alla fine mi accorsi che era seduto sull’ultimo anello, solitario e lontano dal clamore. Ho voluto ricordare questo momento perché rappresenta il modo in cui Francesco interpreta la vita. Con una delicatezza che gli appartiene sia sul Red carpet di Venezia, che sui gradoni dell’Armando Picchi”. Bruni, visibilmente emozionato, tanto da aver dimenticato la giacca ed essere ricorso ad una di fortuna prestata dall’attore e amico Emanuele Barresi, non ha fatto mancare alla sala la sua dimostrazione d’affetto e di gratitudine.
“Ho fatto fatica a farmi riconoscere come livornese – spiega – Sono nato a Roma e sono arrivato qui a 12 anni. Venivo preso in giro dai miei compagni di basket perché parlavo con un accento diverso. Mi sforzavo di parlare livornese in maniera pedestre e facevo peggio ancora. C’è voluto tanto tempo, tanti film girati a Livorno insieme a Paolo Virzì, le scene del mio “Cosa sarà” girate sulla Terrazza Mascagni ed è servito l’Armando Picchi, dove sono sempre stato fuori dalla mischia. Livorno si era trasformata in un sogno per me, un ragazzo adolescenze, giovane che ha trascorso momenti bellissimi sia a teatro che nelle prime esperienze cinematografiche. Il luogo perfetto”. Poi, nella vita dello sceneggiatore, c’è un cambio di rotta. “Segue un periodo in cui, complice il trasferimento a Roma per esigenze lavorative, ho perso il rapporto con la città, la sentivo stretta, non era uno spazio dove potevo esprimermi artisticamente. Invece, da circa un decennio percepisco un attaccamento sempre più forte. Un realtà dove venire a riposarmi e rilassarmi, dove poter essere me stesso in mezzo alla gente, dove potermi spogliare del mio ruolo ed essere una persona come le altre. Un pensiero crescente che mi sta facendo pensare di tornare, se sarà d’accordo anche mia moglie, più propensa verso l’Emilia Romagna per trascorrere la mia terza età (ride ndr)”. Un attestato e una targa d’argento che arrivano in un momento particolare. “Un riconoscimento che mi viene consegnato in un tempo di amore acritico e totale nei confronti di Livorno e dei livornesi – conclude – Sono veramente felice, onorato ed emozionato di riceverlo”.
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