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Atanòr: La Metamorfosi delle Forze

Domenica 22 Dicembre 2024 — 00:26

L’Amministrazione Comunale di Collesalvetti ha il piacere di annunciare l’inaugurazione del Calendario Culturale 2024/2025, dal titolo “ATANÒR. La Metamorfosi delle Forze”, promosso e organizzato dal Comune di Collesalvetti, ideato e curato da Francesca Cagianelli in collaborazione con Emanuele Bardazzi

L’Amministrazione Comunale di Collesalvetti ha il piacere di annunciare l’inaugurazione del Calendario Culturale 2024/2025, dal titolo “ATANÒR. La Metamorfosi delle Forze”, promosso e organizzato dal Comune di Collesalvetti, ideato e curato da Francesca Cagianelli in collaborazione con Emanuele Bardazzi, in programma a partire da sabato 11 gennaio 2025, ore 17.00, per amplificare l’orizzonte delle coordinate scientifiche tratteggiato nella grande mostra Raoul Dal Molin Ferenzona: Enchiridion Notturno. Un sognatore decadente verso l’occultismo e la teosofia, promossa e organizzata dal Comune di Collesalvetti, ideata e curata da Emanuele Bardazzi e Francesca Cagianelli, con il contributo di Fondazione Livorno, in collaborazione con la Società Teosofica Italiana / MEDIA PARTNER, in programma alla Pinacoteca Comunale Carlo Servolini dal 14 novembre 2024 al 15 marzo 2025 (Villa Carmignani, Collesalvetti, via Garibaldi, 79 – INGRESSO GRATUITO: tutti i giovedì, sabato e domenica, ore 15.30-18.30; anche su prenotazione per piccoli gruppi; visite guidate gratuite su prenotazione: info: 0586 980118-227 e 392/6025703; [email protected]www.comune.collesalvetti.li.it).

Quattro le puntate previste per l’approfondimento scientifico di una delle stagioni più avvincenti dell’Otto-Novecento italiano ed europeo, dove si incrociano gli echi della fortuna baudelaireiana e del dannunzianesimo, così come intermittenti illuminazioni relative alla circuitazione della letteratura belga, in primis Maurice Maeterlinck, destinate a contaminare la compagine letteraria del crepuscolarismo romano afferente a Sergio Corazzini, cui Raoul Dal Molin Ferenzona dedicherà il suo libro di prose e poesie La ghirlanda di stelle. Poemi e disegni di Raoul Dal Molin Ferenzona (Roma, Tipografia Concordia 1912).

Il fil rouge della metamorfosi sotteso al Calendario colligiano si dipana in particolare nell’orazione del Sagittario, racchiusa nel volume ZodiacaleOpera religiosaOrazioni, acqueforti, aure di Raoul Dal Molin Ferenzona (Roma, Casa Editrice Ausonia, 1919), nell’ambito del quale l’artista evoca “un Re con corpo a triangolo e gambe in croce”, nel quale Upâdâna proietta l’immagine dell’Atanòr, “fucina di trasmutazione”, ovvero il forno alchemico, dove, in nome della Trasformazione, vengono accostati elementi appartenenti a svariate tradizioni (Scarabelli, 2016).

Nel segno dell’ossessione metamorfica dilagante nei sogni e nelle allucinazioni notturne si potranno dunque rileggere alcuni capolavori esposti nella mostra colligiana, a partire da Battaglia di Meduse (1917), icona di tutto un filone maledetto della femminilità medusea, particolarmente sondato in sede internazionale, da Franz von Stuck a Fernand Khnopff, fino a Gaspard de La Nuit (1920), ispirato all’omonima raccolta di racconti fantastici di Aloysius Bertrand e di cui Emanuele Bardazzi ha decriptato per primo l’affinità con le opere diaboliche dell’artista boemo Josef Vachal, presente in mostra con la xilografia William Blake dalla serie Mistici e visionari, nonché membro dell’Associazione Artistica di inclinazione occultista denominata Sursum, costituitasi esattamente nel periodo in cui Ferenzona visitava la Praga magica degli alchimisti.

Resta tuttavia Leda e il cigno (1930-1933) il rebus più eclatante della proposta interpretativa ferenzoniana rispetto alle infinite prospettive della metamorfosi mitografica, riguardo alla quale lo stesso Bardazzi propone in catalogo il possibile collegamento con il  racconto Léda, ou la Louange des bienheureuses ténèbres di Pierre Louÿs, nei cui dialoghi si trova la frase emblematica sull’inesplicabilità dei simboli: “N’as-tu pas entendu les paroles du Fleuves? Il ne faut jamais expliquer les symboles. Il ne faut jamais les pénétrer (…)”.

Tali coordinate culturali, in massima parte riconducibili alle poetiche simboliste di area franco-belga, ci consentono di verificare il registro della produzione letteraria prediletta da Ferenzona per tutta la vita e fonte di ispirazione per molte sue opere, soprattutto nell’ambito della grafica e dell’illustrazione.

Sabato 11 gennaio 2025, ore 17.00, Massimo Introvigne, sociologo, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni, parteciperà al Calendario con la conferenza dal titolo Metamorfosi e Teosofia intorno a Ferenzonache, ricollegandosi a “Le Metamorfosi” di Apuleio (ca. 124-170 d.C.), punta l’obiettivo sulla storia centrale di Amore e Psiche, in seguito discussa e interpretata in modi diversi da innumerevoli filosofi, maestri esoterici e artisti. Sarà dunque Introvigne a enunciare come dalla leggenda di Eros e Psiche discendono molte altre storie e fiabe simboliche, tra cui quella della Bella Addormentata, oltre che una copiosa iconografia. L’indagine investe infine anche la Teosofia che, come altre correnti esoteriche, ha spesso ritenuto che l’immortalità di Psiche, destinata a trascendere l’amore di Eros, sia il ritorno a uno stato di “unità divina primordiale”, al di là della divisione tra maschio e femmina, cioè il “glorioso stato androgino”. In conclusione l’obiettivo converge verso artisti che furono anche dirigenti della Società Teosofica come Jean Delville, e che hanno dedicato notevole attenzione al tema dell’androgino, ampiamente attestato anche nell’opera di Ferenzona.

Giovedì 30 gennaio 2025, ore 17.00, Francesca Cagianelli, storica dell’arte, conservatrice della Pinacoteca Comunale Carlo Servolini, curerà la conferenza dal titolo Nel Regno delle Farfalle: l’inedita féerie di Raoul Dal Molin Ferenzona al Teatro Rossini di Livorno, le cui inedite tematiche scaturiscono da un’acrobatica ricerca condotta su labili tracce della biografia ferenzoniana, solo ora riconfigurate prepotentemente e destinate ad arricchire la storia dell’arte livornese del ‘900. 

Sulla scorta di una delle opere presentate alla “VI Mostra d’Arte del Gruppo Labronico”, Ritratto della Signorina Andreina Doria, l’autrice ha saputo recuperare un significativo episodio documentale, rinvenuto presso l’Archivio della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, ovvero la lettera inviata da quest’ultima a Mario Quesada, datata Livorno, 30 marzo 1985, riguardante alcuni spettacoli teatrali, tra cui Nel regno delle farfalleNatale in soffittaIl giardino incantato, tenutisi presso il R. Teatro Rossini di Livorno tra l’aprile e il maggio 1924, nonché l’invio di tre negativi relativi, come vedremo, alle scenografie firmate in quest’occasione da Ferenzona.

Si è dunque ricostruita un’inedita vicenda livornese, la cui risonanza internazionale si coglie tra le righe di una sorta di dichiarazione programmatica, apparsa sul Telegrafo, secondo cui “coloro che hanno ideato questo saggio sono stati spinti da concetti molto diversi da quelli che a prima vista potrebbero apparire. Da vari anni essi hanno seguito le varie manifestazioni pedagogiche internazionali e sono stati silenziosamente attenti al movimento nazionale (specialmente del dopo guerra e specialmente dopo l’avvento al Governo del fenomeno fascista) intorno all’educazione della gioventù”.

A conferma della straordinaria eccezionalità delli spettacolo ferenzoniano si riportano testimonianze fondamentali quali quella di Bianca Flury Nencini, responsabile per la stampa e propaganda del Partito nazionale fascista livornese, futura collaboratrice della Casa editrice Belforte, nonché fervente promotrice di tali rappresentazioni, che celebrava il programma ferenzoniano sulle pagine de “Il Telegrafo”, amplificando l’inedito registro della geniale féerie, promossa dall’Associazione pro “Casa del Soldato”, definendola “un grandioso avvenimento che si compirà, a giorni, quasi per celebrare con una festa di giovinezza la rinascita della Primavera”.

Giovedì 20 febbraio, ore 17.00, Emanuele Bardazzi, storico dell’arte ed esperto di grafica tra ‘800 e ‘900, proporrà al pubblico della Pinacoteca il tema Polarità dell’eterno femminino, fascinazione androgina e amour du difforme nell’estetica del Simbolismo e dell’Art Nouveau.

Al fine di evidenziare i legami profondi e persistenti dell’immaginario ferenzoniano con la trasversalità del Simbolismo internazionale, vengono evidenziati alcuni temi cardine emersi prepotentemente nella cultura figurativa e letteraria di fine Ottocento, ovvero i concetti di polimorfismo e di metamorfosi applicati soprattutto alla femminilità. La progressiva liberazione della donna dagli stereotipi tradizionali di moglie e madre veniva percepita dall’uomo come pericolo destabilizzante e castrante, ma era al contempo un’attrazione irresistibile per un fascino di tipo nuovo, perverso e trasgressivo. L’immaginario artistico legato alla donna era polarizzato nelle allegorie antinomiche della vergine e della femme fatale. Alla bellezza mistica pervasa di ascesi e di dolente malinconia della prima si contrapponeva il potere malefico e distruttivo della seconda che manipolava il maschio come un burattino. La trasformazione in mostri mitologici metà donna e metà animale, che gli artisti simbolisti attuavano su questo tipo di femminilità abominevole rimarcava la sua ambiguità e doppiezza, la forza metamorfica del vizio supremo, la corruzione della bellezza e dell’anima. Il polimorfismo femminile che l’Art Nouveau trascrisse in chiave decorativa e quindi più suadente, saziava anche la sete di bizzarria insita nell’estetismo decadente affascinato dall’amour du difforme di derivazione baudelairiana.

In questa visione fondamentalmente astratta, contraddittoria e misogina della donna, entrava in scena il terzo elemento riunificante, ovvero l’androgino, il cui mito fu teorizzato soprattutto dall’estetica rosacrociana di Joséphin Péladan come l’essenza primitiva ancora indifferenziata che riuniva i due principi maschile e femminile confondendoli e riequilibrandoli in un essere perfetto definito sesso artistico per eccellenza.

Giovedì 6 marzo, ore 17.00 Dario Matteoni, storico dell’arte, direttore dell’Accademia di Belle Arti, Alma Artis, Pisa, presenzierà nell’ambito del Calendario colligiano con la conferenza dal titolo Le attestazioni esoteriche di Gabriele d’Annunzio: androgini e misteri conventuali

Riflessioni e interpretazioni dell’autore si assemblano a partire dal capolavoro incisorio del 1932, Gabriele d’Annunzio, dove il poeta è rappresentato con il capo coperto da un velo per esaltarne l’aura magica di investigatore del mistero associato a un florilegio ermetico di simboli e amuleti, secondo una formula poi riproposta nel 1938 in occasione della morte del poeta.   

Incluso nella mirabile rosa dei personaggi celebri ritratti da Ferenzona, destinati a comporre una scacchiera di importanti riferimenti internazionali che accrescono di sfaccettature l’estensione delle ambizioni teoriche dell’artista, il ritratto dannunziano rivela misteriose connessioni con i protagonisti della serie denominata “fari” spirituali, una silloge di maestri ideali in cui sfilano, oltre a Aubrey Beardsley e Hāfez, anche il padre dell’antroposofia Rudolf Steiner, il pittore visionario William Blake, l’impavido e generoso esploratore delle regioni polari Roald Amundsen e probabilmente il filosofo indiano Jiddu Krishnamurti.

Senza contare che, al volgere del primo decennio del secolo, tra il 1909 e il 1910, Ferenzona eseguì un florilegio di incisioni a puntasecca e a punta di diamante prevalentemente dedicate a figure femminili vagamente androgine, virginali e al contempo seduttive, nella cui enigmatica indecifrabilità appare evidente il riferimento ai volti sfingei di Khnopff, quali Image d’autrefoisThe puppetsIl mistero dell’EucarestiaLa Madonna dei sette doloriL’incensoUn peccatoLe pensée secretIl cerchioLe rondini nella chiesaLa cattiva monacaIl sacrificioLe educandeLe mani pureGravis dum suavis, immagini quest’ultime di languido misticismo e misteri conventuali in bilico tra tentazione e castità, debordanti verso un sensualismo religioso che riecheggia la poetica dei simbolisti belgi, quella corazziniana dell’Amaro calice e delle Aureolee, e non ultima una certa vena decadente che Gabriele d’Annunzio aveva disseminato soprattutto nel Poema paradisiaco

Si conclude quindi con la rilettura di Gravis dum suavis la conferenza conclusiva del Calendario colligiano, laddove il motto latino usato da d’Annunzio per appellare la bellezza esangue e malata di Ippolita Sanzio nel romanzo Il trionfo della morte svela le ragioni di Giorgio Aurispa che, durante un soggiorno nella pace orvietana, narrava di aver avuto un rapporto al limite dell’incestuoso con la propria Musa ideale, ma sublimato dalla possibilità di accedere alla blindata spiritualità dei roseti conventuali.

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