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Ferretti, il Tardelli amaranto con quella corsa da bambino infinito verso la Nord

Domenica 12 Giugno 2022 — 22:01

L'esultanza dell'attaccante amaranto dopo il rigore segnato a tempo scaduto che vale il 2 a 1 per l'Us Livorno. FOTO NOVI

Il rigore procurato con rabbia e caparbietà. L'ansia e la concentrazione prima di tirare dagli undici metri. Poi la gioia enorme, che esplode con tutto lo stadio e quella corsa interminabile verso la Nord. Ecco il gol che vale il match segnato da Andrea Ferretti

di Giacomo Niccolini

Quanti di noi lo hanno sognato da bambini? Magari davanti ad una porta improvvisata con due felpe per terra con sullo sfondo la grottina di Villa Fabbricotti oppure davanti alla porta del gabbione dei Pancaldi alle 15 di un caldo pomeriggio di luglio. Te, il pallone, la porta. Il sudore che scivola lento dalla fronte, il cuore che batte forte forte e tutto intorno che si trasforma nello stadio più bello del mondo con tutti i tifosi pronti ad esplodere al tuo gol.
Chissà quante volte lo aveva sognato Andrea Ferretti (nella foto di Novi), classe 1985, chissà quante volte lo aveva immaginato. Ma poi così a tempo strascaduto. Ancora più bello. A far ricredere tutti quelli che vanno via 5 minuti prima dallo stadio per non trovare traffico. E’ entrato in area, caparbio, testardo, con la rabbia giusta, fino in fondo a testa bassa. A incontrare le mani del portiere. Se l’è preso. Oh si se se l’è preso. Con tutto se stesso.
Così quando l’arbitro ha fischiato e indicato il dischetto ha messo il pallone sotto al braccio e si è allontanato da tutto quel caos, dalle liti, dagli sberci e dalle esultanze con lo spettro dello sbaglio last minute che come un diavoletto ti si adagia sulla spalla. Perché qualche rigore al novantesimo l’ho sbagliato anch’io nella vita, ha confessato nel dopo partita. E allora mica è facile. Pensi a quello sbagliato da Daniele (Vantaggiato) contro il Tau, pensi ai tuoi errori fatti con altre maglie. E il diavoletto diventa enorme. Ingombrante. E il pallone che hai sotto al braccio diventa un pallone medicinale, da qualche chilo.
Così Andrea si è messo lì a pensare a come calciarlo quel rigore. Si è messo lì, lontano da quel circo, con quella maglia amaranto che è una sola pelle addosso, a parlare a tu per tu con il pallone, come Chuck Noland fa con Wilson sull’isola deserta. Ecco, mentre tutto scorreva troppo veloce e fin troppo incazzato, Ferretti ha svuotato la testa portandosi sulla sua personale isola deserta. Facendo scudo, come ha confessato anche lui stesso, dei suoi errori passati.
Poi quel silenzio fatato prima della battuta. Dura un attimo, sapete? Il pubblico trattiene il fiato pronto ad esplodere di gioia o a gridare di rabbia. Un attimo eterno. Poi il tocco sordo e deciso. Toc. La palla che viaggia veloce, supera quella linea bianca fino a danzare con la rete e a confondersi con essa. Uno splendido tutt’uno di gioia. E allora cosa si fa? La Nord è lontana. Ma non importa. Ferretti rispolvera il Tardelli che è in lui e corre.
Corre con quelle braccia larghe con i pugni chiusi in fondo, con quello sguardo verso il faro amaranto che brilla come per una falena nel buio verso la Curva Fabio Bettinetti. L’Armando Picchi diventa un delirio. E’ il gol che scaccia i fantasmi. E’ il gol che spazza via il fango che torna a mettere l’alloro sulla testa agli amaranto. E nel mezzo al campo c’è quel bambino infinito che corre, corre, corre. Venti metri, poi cinquanta, poi ottanta, infine cento e più. E’ sotto la curva. Vene sul collo. La scia di compagni di squadra dietro come la coda di una cometa. E lui è lì. Che urla come un bambino infinito che ha segnato il SUO gol. Il gol più importante di sempre. Il gol che non ti fa pensare più a niente se non a correre verso quelle bandiere, verso quei tifosi, verso un abbraccio virtuale che ti avvolge come coperta di Linus. Ti stritola, ti lascia senza fiato.
Per tutto un popolo che canta ogni domenica, per tutti i bimbi infiniti diventati grandi, per tutti i bimbi che questa domenica erano allo stadio per la prima volta magari per mano al loro babbo o alla loro mamma. Per tutta quella passione che un “semplice” gol può suscitare. Oltre ogni categoria. Oltre ogni stadio. Dalla grottina di Villa Fabbricotti fino al Camp Nou. Ma una cosa è certa. Quella maglia amaranto addosso rimane la più bella di tutte.

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