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Un livornese a Chernobyl: tra centrale nucleare, “reietti” e città fantasma

Martedì 5 Febbraio 2019 — 12:23

Il racconto di Michele Bertolini: "Ho passeggiato tra le case disabitate con dentro ancora giocattoli e mobili e ho visitato i Samosely, la popolazione che vive ancora di espedienti all'interno del distretto interdetto"

di Giacomo Niccolini

Una meta che solitamente non attira certo per le sue bellezze naturalistiche o per le sue spiagge baciate dal sole, né tanto meno per la ricchezza e lo sfarzo. Stiamo parlando di Chernobyl, Ucraina settentrionale, cuore del disastro nucleare più grande che l’Europa ricordi (clicca sul link in fondo all’articolo per consultare il reportage fotografico all’interno della fotogallery).
La sua ferita, quella aperta nel 1986, per certi versi non è mai stata chiusa. Ed ecco che allora diventa affascinante andare per capire, capire cosa è stato e capire che sapore ha il presente di una realtà dilaniata da un evento apocalittico. Come si vive con lo spettro di un disastro e la percezione di una realtà per forza di cose “diversa” da quella che siamo abituati a vivere noi.
A fare questa esperienza, per il terzo anno consecutivo, è il livornese Michele Bertolini, 38 anni ad aprile, che, con la sua agenzia di viaggio (You and Destination) organizza tramite l’associazione “I Luoghi dell’Abbandono”, un tour in quello che è il distretto di Chernobyl. Un giro tra la centrale nucleare spenta ma “viva”, per le strade e i luoghi della città fantasma di Pripyat a poca distanza dal reattore e in visita ai “reietti” che vivono abusivamente ancora nella zona alienata: i Samosely.
Abbiamo parlato di questo viaggio, nei luoghi e nell’anima, con lo stesso Bertolini.

MICHELE BERTOLINI IN TOUR A CHERNOBYL CON “I LUOGHI DELL’ABBANDONO”

Partiamo dall’inizio… che effetto fa?
“Che effetto fa? Strano. Surreale. Sto parlando di Pripyat, soprattutto. La città fantasma che nel 1986 contava circa 50mila abitanti e che venne evacuata in un solo giorno con la promessa che entro una settimana i residenti sarebbero fatti tornare all’interno delle loro case…”.
…E invece?
“E invece è tutto cristallizzato, tutto fermo a quel dannato giorno del 1986. E’ veramente incredibile. Le case sono ancora arredate, tutto si è fermato a quel momento. C’è una ruota panoramica, i mobili, se pur malandati e trasandati per l’incuria e l’abbandono del tempo, ancora presenti dentro le mura delle abitazioni. Ci sono le bambole, i giochi dei bambini lasciati lì. Fa impressione. C’è lo stadio di calcio al cui interno, sul terreno di gioco, è cresciuto un bosco. Camminando a volte appare un semaforo in mezzo alla vegetazione oppure un manifesto dell’Unione Sovietica. E’ davvero surreale”.
Che tipo di città era Pripyat prima del disastro?
“Da quanto ci hanno raccontato le guide era una città su cui l’Urss contava molto. L’età media era di ventisei anni, aveva 14 asili ed era molto viva. Fu una delle prime città ad avere un supermercato. Era avanti per l’epoca. Poi il disastro nucleare…”.

A CENA CON I SAMOSELY, I “REIETTI” CHE VIVONO NEL DISTRETTO INTERDETTO

Quanto è durato il viaggio e perché proprio ora a gennaio?
“Siamo stati dal 28 al 31 gennaio a Chernobyl. Il passaggio da Kiev è obbligatorio. Abbiamo visitato nel frangente anche il distretto alienato e incontrato i Samosely, gli abitanti che vivono tutt’ora illegalmente nel diametro di 30 chilometri dichiarato interdetto dal governo. Abbiamo visitato la centrale e parlato con chi ancora ci lavora. Gennaio è il periodo freddo, si va dai -2 gradi ai 5 di massima, ma ideale perché le eventuali polveri contaminate sono tenute basse dalla neve ed è perfetto per chi, adora fare le foto. Si incontra meno turisti, meno persone in generale. I luoghi risaltano ancora di più”.
Hai parlato di Samosely... da quanto capiamo sono delle persone che vivono ai margini della società… è così?
“Sono quelli che non sono riusciti ad integrarsi nelle grandi città una volta evacuati e così, in maniera clandestina, sono tornati a vivere all’interno del distretto proibito. Vivono in case di legno e si auto-sostentano, chiaramente irrigando i campi con acqua ancora radioattiva e vivendo di espedienti. Hanno una pensione minima di 50 euro e non hanno neanche l’assistenza medica. L’associazione I Luoghi dell’Abbandono, con cui ho viaggiato, si prefigge di aiutare questa popolazione. Siamo andati a trovarli all’interno delle loro case di legno immerse nelle neve e abbiamo portato loro generi alimentari e capi d’abbigliamento. Ho visto una donna anziana commuoversi per una busta della spesa”.
Parliamo di Chernobyl… una città in ginocchio?
“A dire il vero meno di quello che si pensi. In realtà c’è un albergo, un mercatino, ci sono le case, la vita va avanti ed è una città abitata da chi ancora lavora all’interno della centrale nucleare”.

ALL’INTERNO DELLA CENTRALE NUCLEARE A CHERNOBYL

Ma non è spento il reattore?
“In realtà non è così semplice. Sono quattro i reattori, tra cui il famoso reattore che è esploso. Sono attualmente spenti ma la centrale non è come un elettrodomestico dove si può premere “off” e andare via. La presenza umana è obbligatoria. Si deve lavorare all’interno ugualmente per sorvegliare e affinché non si verifichino ulteriori problemi anche perché il disastro nucleare è sopito, dormiente. C’è ancora quello che chiamano Il Sarcofago da vigilare h24 dove al cui interno ci sono i resti del disastro nucleare”.
Situazione radioattività della zona? 
“A livello di radioattività non è niente di spaventoso. Con le apparecchiature con cui viaggiavamo abbiamo rilevato che le radiazioni presenti sono quelle che possiamo prendere in una normale città italiana. Bisogna stare attenti in determinati posti che non sono stati puliti e decontaminati a dovere. Come per esempio nei sotterranei dell’ospedale di Pripyat ci sono ancora dei vestiti ammassati lì dei primi soccorritori che andarono per spegnere l’incendio nucleare e che morirono in dieci giorni dall’evento. Lì la percentuale di radiazioni è maggiore. O anche addosso a strutture

LA GRADINATA DELLO STADIO DI CALCIO DI PRIPYAT. AL POSTO DEL TERRENO DI GIOCO… UN BOSCO

metalliche che trattengono maggiormente la radioattività. In linea di massima le indicazioni che diamo ai viaggiatori intenzionati a fare questo tour sono che le radiazioni che prendiamo in una giornata a Chernobyl sono le stesse che prendiamo durante un volo intercontinentale da Londra a New York. Solo in determinate zone indossiamo le mascherine anti-polvere. E come consiglio quando torniamo a casa diciamo di lavare bene i vestiti”.
Hai parlato con i lavoratori della centrale. Cosa ti hanno trasmesso?
“E’ un rapporto strano quello che hanno con la centrale. Non si sentono persone particolari anche se sono benissimo a conoscenza di cosa sia quel luogo e di cosa significhi. A vederle così sembra che le loro espressioni dicano ci è toccato questo… e va bene così… Non è che raccontino grandi cose o fanno capire l’eventuale disagio che vivono. Lo vivono e basta”.

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