Edi, la bimba livornese che sfuggì scalza dal treno per Auschwitz. La sua storia diventa fumetto
L'orrore della Shoah, il rastrellamento, la fuga a piedi nudi verso la libertà. Oggi, a distanza di 76 anni da quei tragici giorni, la storia di quella bambina è stata immortalata tra le pagine di un libro
Una giornata iniziata come tante altre, quella della piccola Edi. Come quella di ogni bambino che ha la certezza di vedere rispettati quelli che sono i suoi diritti inviolabili: lo studio, la spensieratezza, la vita. Un bambino non dovrebbe sapere come ci si sente ad essere buttati fuori dalla classe a causa della propria religione. Non dovrebbe familiarizzare con l’essere cacciato fuori da una gelateria, sempre per motivi religiosi. Non dovrebbe neanche vedere la storica attività commerciale della famiglia chiudere i battenti per quei soliti, inspiegabili motivi. Ma è l’anno delle leggi razziali. L’Italia comincia ad essere infestata da questo e tutto questo comincia a diventare legittimo. Peggio ancora, prassi. Edi è costretta a vedere la sua fanciullezza disgregarsi. Devi crescere velocemente, essere leone e non gazzella nella continua lotta alla sopravvivenza. La sua religione è la sua lettera scarlatta, il marchio di una vergogna inspiegabile ma con cui è costretta a convivere. E’ l’autunno 1943 quando tutta la sua famiglia è costretta a fuggire da Livorno per cercare lidi più sicuri e lo trova a Santa Caterina a Marlia. Il 5 dicembre l’incubo torna a farsi più reale e presente che mai: tutti gli ebrei del paese sono costretti a radunarsi all’interno di un edificio. Il terrore è palpabile, così come la sensazione della fine imminente. Ma il padre di Edi non ci sta: vuole garantire la sopravvivenza ai suoi figli. Non li vuole condannare ad un destino di cui non possono essere artefici. E così fa nascondere Edi e suo fratello Sirio in uno stanzino, dove di lì a poco riesce a raggiungerli. La mamma Dina e l’altro fratello Dino non riescono nell’impresa ma tengono viva la speranza di andare a lavorare. “Siamo utili per loro, non possono ucciderci. Ce la faremo”. La destinazione di quel treno in cui furono rinchiusi fu però diversa. Un viaggio di sola andata verso Auschwitz. Insieme a loro, anche il nonno Davide, lo zio Sillo, gli zii Renato, Sirio ed Oreste ed i cugini Mario e Renato. Edi e Sirio, una volta sentitisi al sicuro, si tolgono le scarpe e cominciano a fuggire. Destinazione? La ricostruzione di una vita, fino a quel momento dolorosa come le ferite pulsanti ai piedi.
Dopo più di 70 anni la storia di Edi Bueno, ebrea livornese, viene ancora raccontata a gran voce e continua ad emozionare. Da sempre si è resa portavoce della memoria dei tempi che furono, per tenerla viva e fare in modo che il messaggio rimanga scolpito nei cuori degli ascoltatori: “Mai più”. E questo è lo scopo del libro “Come into my house” realizzato dal ricercatore di storia contemporanea Emmanuel Pesi e dal fumettista ed illustratore Luca Lenci. Raccoglie nove storie di fuga e resistenza, inclusa quella di Edi. E’ stato presentato al Comune di Capannori, in occasione di una cerimonia dedicata al Giorno della Memoria. Quest’anno il Comune di Capannori si è posto l’obiettivo di far conoscere queste significative storie del territorio toscano legate al periodo della seconda guerra mondiale in un modo inusuale e creativo: attraverso illustrazioni. Il linguaggio delle immagini riesce ad arrivare in modo diretto ed incisivo anche agli occhi dei lettori più giovani. “Come into my house” è un’iniziativa editoriale promossa dall’amministrazione comunale di Capannori, dall’Istituto storico della Resistenza, con il contributo della Regione Toscana ed il patrocinio di Lucca Comics&Games.
Sono immagini forti, dalle quali traspare la sofferenza, la speranza di un futuro normale, la lotta continua. Dai piedi di Edi e il fratello Sirio scivolano gocce di sangue. Il loro sangue, intriso di tutto l’orrore vissuto. L’orrore che scatena un forte senso di paura ma al contempo ti spinge a continuare a correre verso quel futuro cui aspiri con tutto te stesso, la salvezza che sembra sempre troppo lontana ma verso cui non bisogna smettere di tendere.
“Esercitare la memoria è senza dubbio uno degli antidoti più forti – scrive nell’introduzione il sindaco di Capannori Luca Menesini – per tenere alti i valori di uguaglianza e di libertà che oggi fanno parte del nostro patrimonio culturale, ma che non possiamo commettere l’errore di dare per scontati”.
Edi di fronte alle immagini ed al racconto della sua vicenda non riesce a trattenere le lacrime. Nonostante questo continua a diffondere la sua testimonianza e a parlare davanti ai bambini di oggi, guardandoli negli occhi, passando loro il testimone di una tragedia che nessuno dovrà più vivere. Affinché a nessun bambino possa venir più negato un gelato. Affinché i loro zainetti siano sempre pieni di libri. Edi, in una delle illustrazioni, tiene per mano se stessa e suo fratello da piccoli. Come a volerli rassicurare: “Ce l’avete fatta. Adesso avete un compito ancora più importante: siate un esempio ed un monito. Mai più”.
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