Lettera di un babbo al suo primo giorno di asilo
Il primo giorno all’asilo di mio figlio, 7 mesi, è volato. Inserimento. E’ così che la chiamano l’ora che trascorri con lui e altri bambini in una stanza piena di giochi. Senza scarpe.
Appena arrivato ho consegnato, seguendo alla lettera le istruzioni della moglie, la sacchina con tutte le cose del bimbo. Poi ho spogliato Tommi che si era appena svegliato dopo una dormitina nel passeggino durante il tragitto a piedi. Bravo, mi sono detto. Mia moglie avrebbe fatto così. Poi è toccato a me spogliarmi. Via anche le scarpe. Lo smartphone va silenziato. Lo puoi portare ma rispondi solo a telefonate di lavoro. Dopodiché ho preso in braccio Tommi e guidati da una brava operatrice ci siamo diretti nella stanza piena di giochi. La porta si è aperta piano piano. Quello che mi ha colpito è che tutto viene fatto piano. E’ un inserimento, d’altronde. Da un mondo (la casa) all’altro (l’asilo). E’ il primo figlio? Sì, dico io. Era la prima volta anche per me. Mi sono seduto piano piano e mi sono goduto lo spettacolo. Giuro, una lacrima mi è uscita. L’ho fermata nell’occhio. Non l’ho fatta scendere. Tommi ride molto e sapevo che si sarebbe potuto subito ambientare. E così è stato. Avete presente quella espressione: “Ma è tutto per me?”. Vederlo giocare in tranquillità è stata una gioia. E’ passato da un gioco all’altro per un’ora. Raccogli di qui. Raccogli di là. Titubanti all’inizio, forse per via anche della mia presenza, gli altri bambini piano piano chi gattonando chi camminando lo hanno circondato. Un po’ per studiarlo. Un po’ per dirgli: “Questi giochi sono prima nostri che tuoi. Ma se fai il bravo puoi giocarci anche tu”. O almeno l’espressione mi ha trasmesso questa popò di frase. Ad un tratto un bambino ha pianto. Tommi è sensibile ma è riuscito a non andargli dietro. Di solito si accoda e piange. Mi ha fissato e lo smarrimento è passato. Sapeva che c’ero anche quando a un tratto, dopo circa 30 minuti dal mio arrivo, l’educatrice mi ha invitato ad allontanarmi verso il muro per creare il distacco figlio-genitore dopo quello casa-asilo. Se n’è accorto. E si è voltato. Lo stesso ha fatto anche quando, sul finire del tempo, ho deciso di allontanarmi ancora verso l’angolo della stanza. Ma a quel punto l’oretta insieme era trascorsa. Volata. Il primo giorno di inserimento è volato per tutti e due. A casa ho raccontato a mia moglie, rientrata dal lavoro, questa oretta e ho fatto più fatica a trattenere la lacrima ma ci sono riuscito cambiando discorso. Se penso che, 7 mesi fa, ho scritto la lettera di un babbo dalla sala parto il tempo passa. Vola.
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