Dall’America un abbraccio a Bartoli: “Mario, non smetta mai di cercare quel Magico Battito”
Gentile Direttore,
sono il padre di Nicholas Green, il bambino americano di sette anni che fu ucciso lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria nel 1994 e i cui organi e cornee furono donati a sette persone molto malate, quattro delle quali adolescenti. Un mio amico di Roma, Andrea Scarabelli, mi ha mandato una copia del vostro articolo su Mario Bartoli, che donò gli organi del figlio nel 1998 e dopo vent’anni prova dolore perché non è mai riuscito a comunicare con i riceventi degli organi del figlio. Dice, in modo commovente, “Il mio intento è però riascoltare solo magari per una volta il cuore di Christian battere”.
Non ho mai incontrato il Sig. Bartoli, ma mi sento vicino a lui e mi farebbe piacere se potesse inoltrargli questo mio messaggio (e pubblicarlo anche voi nel caso lo vogliate). Il Sig. Scarabelli che ha fatto più di chiunque altro per aiutarmi a parlare di donazione degli organi in Italia, ha tradotto questa email.
Distinti Saluti,
Reg Green.
P.S.: Ho un debole per Livorno: la primissima volta che venni in Italia da giovane, soggiornai a Lerici e pensai che quell’intera fascia costiera fosse la più bella che avessi mai visto.
Egregio Sig. Bartoli,
Come padre di Nicholas Green, il bambino Americano di sette anni che fu ucciso lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria nel 1994 e i cui organi e cornee furono donati a sette persone molto malate, desidero esprimere insieme il mio dispiacere per la sua perdita e la solidarietà per la sua decisione di donare gli organi di suo figlio. So che evento straziante possa essere stato. Sono doppiamente scosso dalla sua irrealizzata speranza di riuscire ad incontrare il ricevente del cuore di Christian e sentire il cuore battere. Negli Stati Uniti le famiglie dei donatori ed i riceventi hanno il supporto, di fatto sono incoraggiati a comunicare l’un l’altro, perché ogni istituzione che è responsabile per il Governo Americano per la donazione degli organi pensa che tali comunicazioni migliorino la salute e la felicità sia delle famiglie dei donatori che dei riceventi. In Italia la comunicazione è impedita perché la legge emanate nel 1999 impedisce al personale sanitario di divulgare informazioni su chiunque sia coinvolto nel trapianto. La legge fu emanata con le migliori intenzioni – per proteggere la privacy ed impedire sconvolgimenti emotivi per una o l’altra parte. In questi quasi 19 anni in ogni modo, decine di migliaia di famiglie negli Stati Uniti, quando entrambe le parti lo hanno voluto, hanno avuto dei contatti e nella stragrande maggioranza dei casi è stato terapeutico per entrambe. In parte questo è accaduto perché metodologie non disponibili nel 1999 si sono evolute per proteggersi contro i rischi – il primo contatto avviene generalmente con lo scambio di lettere anonime e l’intero processo è supervisionato dai dottori di entrambe le famiglie. Solo se tutti sono d’accordo, alla fine le due parti possono incontrarsi. Ma la ragione principale per cui questi contatti vanno così bene è che entrambe le parti ottengono moltissimo dal sapere di più l’un l’altro invece di trascorrere una vita nell’inconsapevolezza: la famiglie dei donatori vedono da sé che tipo di trasformazione ha portato il loro dono – persone che erano in punto di morte e che ora si sposano, hanno figli o sono in grado ritornare a lavoro – e i riceventi, che a volte si sentono in colpa per essere in buona salute solo perché qualcun altro è morto, sono rallegrati dal vedere che la famiglia del loro donatore non nutre risentimento verso di loro. Questa non è una differenza semplicemente fra Stati Uniti e Italia. Anthony Clarkson, vice direttore per la donazione degli organi al Centro per la donazione di sangue e trapianti del Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito, dice che la comunicazione “è un’esperienza positiva e benefica nella stragrande maggioranza dei casi”.
Alcuni mesi fa ho iniziato una campagna per aprire una discussione nazionale in Italia per analizzare se questa legge del 1999 stesse causando un dolore non necessario. Molti dei media nazionali maggiori, inclusi Il Corriere della Sera, UnoMattina, Il Giornale Italiano di Nefrologia, Libero ed altri, hanno posto la loro attenzione su questa cosa. Finora, comunque, le istituzioni sanitarie non hanno mostrato intenzione di dibattere la questione. Ciò mi delude grandemente, essendoci una schiacciante evidenza che i loro pazienti ne beneficerebbero. Spero che possano aprire le loro menti quando vedranno quanto ciò significhi per famiglie come la sua, che soffrono un dolore che dura tutta la vita, nonostante la decisione che ha preso per aiutare gli altri a prescindere dalla sua terribile perdita.
Cordiali Saluti da mia moglie Maggie e me.
Reg Green
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