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“Io, scarpacce e tuta tra i volontari. Nessun “capo”, tanta solidarietà”. Limoncino: collaudato il ponte

Mercoledì 20 Settembre 2017 — 08:10

Anche uno dei nostri giornalisti tra i volontari nei quartieri colpiti dal nubifragio. Il racconto in prima persona e una riflessione: i livornesi si sono riuniti, hanno collaborato non perdendo la voglia di sorridere. Non esistevano capi, regnava una sorta di “anarchia” buona che ha acceso una luce ovunque: quella della solidarietà

di Filippo Ciapini

“La città di Livorno è flagellata dal maltempo, quartieri completamente allagati”. A casa mia è entrata solamente un po’ di acqua (clicca qui – ripristinato il ponte del Limoncino in via delle Vallicelle). Fuori non è la stessa cosa: Barriera Margherita e la Stazione sono allagate, i Tre Ponti sono crollati e le strade sono diventate fiumi, poi leggo una cosa: “Ragazzi chi può venga a Salviano perché la situazione è tragica”. Capisco ma non realizzo, metto su le “scarpacce” e una tuta, raduno qualche amico e si parte direzione via di Salviano. Avrò fatto 100 volte quella strada, questa volta era diversa. La prima cosa che mi colpisce sono un cumulo di vestiti, prevalentemente da bambini, completamente zuppi davanti ad una casa che ricordava più una palafitta. Alla mia richiesta di aiuto mi arriva una risposta che a primo impatto può sembrare così semplice, ma che in realtà, mi ha fatto capire della situazione in cui mi stavo ritrovando: “Guarda, fai te”. Inizio dalle lastre di legno, poi i letti ed infine provo a far scorrere via l’acqua dalla casa in questione. Saluto, mi scuso e proseguo, ripasserò dopo. La seconda casa è addirittura messa peggio, alla vista del segno di fango sulle pareti rabbrividisco e per la prima volta penso a quanto sia stato fortunato: mobili, libri da buttare, ma soprattutto foto con ricordi annessi, cose che “non si ricomprano”. La vista però di un set di porcellana intatto mi ha fatto salire una sensazione strana che tutt’ora non so spiegare, come se mi spingesse a continuare a spalare, come in un film. Il tempo scorre, siamo arrivati a sera, le “mani” non servono più, il canale fognario sta raccogliendo l’acqua dalla strada e il “grosso” è stato levato, adesso tocca a chi di dovere con i giusti mezzi, decido, quindi di tornare a casa. Il secondo giorno è toccato all’Ardenza, già in parte risanata dai residenti, dai militari e dalla protezione civile i quali, avevano diviso i lavori tra chi tirava fuori le macchine accatastate fra di esse, chi ripuliva i garage e chi aiutava la ruspa a rendere la strada più agibile, decido di occuparmi un po’ di tutto, soffermandomi però sui garage. Faccio però piacevolmente attenzione ai volontari, livornesi e non, che, oltre a lavorare tutti insieme, conversavano tra loro oppure, tra una pausa e l’altra, bevevano un caffè gentilmente offerto da chi impossibilitato a spalare, il tutto condito da una battuta, perché a Livorno non si smette mai di ridere.
I giorni passano, i quartieri tornano agibili, resta Collinaia dove la situazione appare ancora instabile, ma i volontari continuano a moltiplicarsi: anche lì il lavoro è diverso, per la prima volta sperimento la “catena umana” utilizzata per tirar fuori l’acqua da un’abitazione, chi si passa i secchi e chi li riempie, io sono uno fra quelli, insieme a qualche coetaneo conosciuto sul momento, una coppia ed un padre insieme alla figlia. Dopo centinaia e centinaia di secchi riempiti, passati e svuotati, è arrivato il momento dell’idrovora, che di fatto ha sancito la fine del “lavoro”.
Tornando a casa, riflettendo, mi rendo conto di come dopo tanto tempo la città di Livorno, ma soprattutto i livornesi, si sono riuniti, hanno collaborato, come dovrebbero sempre fare. Non esistevano capi, eravamo tutti figli delle leggi livornine, regnava una sorta di “anarchia” buona che ha acceso una luce che con il tempo sembrava spegnersi, ma che ci ha sempre contraddistinto ovunque: quella della solidarietà. Come la fenice risorge dalle sue ceneri, Livorno risorgerà dal suo fango.

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