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Ai domiciliari il presidente della Labronica Basket.
La società su Facebook: “Maurizio siamo con te”

Mercoledì 8 Febbraio 2017 — 07:35

La finanza: “frode carosello” nel settore del commercio di prodotti hi-tech. La Labronica Basket: auguriamo a Maurizio di risolvere al più presto la questione

Frode fiscale e associazione a delinquere. Sono queste le accuse con le quali è finito agli arresti domiciliari il presidente della Labronica Basket (società estranea ad ogni tipo di accertamento giudiziario) Maurizio Bianchi. L’avvocato difensore del numero uno della squadra di basket cittadina, contattato telefonicamente dalla redazione nel pomeriggio di mercoledì 8 febbraio, ha comunicato che al momento la linea della difesa è quella del “massimo riserbo”. “Siamo in una fase delicata dell’indagine – risponde il legale Massimo Parenti – e al momento nessuna dichiarazione al riguardo”. Al momento non è ancora chiaro dunque quali siano i passi legali che Bianchi percorrerà per abbattere le accuse nei suoi confronti. Quello che potrebbe essere quasi certo è la contromossa che la difesa potrebbe giocare al Tribunale del Riesame chiedendo una revoca della misura degli arresti domiciliari.
Intanto sull’argomento scende in campo anche la società di basket della Labronica che, con un comunicato stampa lanciato su facebook, difende il presidente Bianchi.
Il comunicato della Labronica Basket –  “La Società Libertas Labronica Basket- in relazione a quanto pubblicato in data odierna (8 febbraio 2017) su alcuni organi di stampa cittadini – tiene a precisare che la Società stessa è assolutamente estranea a verifiche fiscali e/o accuse di qualsiasi natura. Pertanto confermiamo che l’attività proseguirà normalmente in tutti i propri settori. Diffidiamo qualsiasi tipo di strumentalizzazione a mezzo stampa e/o social media che coinvolga la Libertas Labronica Basket in merito alla vicenda. La Labronica tutta unita augura a Maurizio di risolvere al più presto la questione”.  _5afz”>#WeAreLabronica

La diffusione della notizia dell’arresto dell’imprenditore Maurizio Bianchi – Nell’ambito dell’operazione denominata “Rambo”, si legge in un comunicato diffuso la mattina dell’8 febbraio militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Livorno, con il coordinamento del Comando Regionale Toscana, e funzionari dell’Agenzia delle Dogane labronica, il 7 febbraio hanno eseguito – dando corso a 15 perquisizioni tra abitazioni, sedi societarie ed uno studio commercialistico, dislocate tra Toscana, Trentino Alto Adige, Campania ed Emilia Romagna – l’ordinanza, emessa dal gip del Tribunale di Livorno, Antonio Pirato, di applicazione degli arresti domiciliari nei confronti di due imprenditori livornesi e di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di ulteriori due persone (sempre residenti a Livorno), per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una complessa frode fiscale.
L’Autorità Giudiziaria ha disposto, inoltre, su richiesta della locale Procura della Repubblica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di oltre 4 milioni di euro su conti correnti, denaro, autovetture e immobili nella disponibilità di 6 imprese (2 ditte individuali e 4 società) e di 7 degli 8 indagati, a vario titolo coinvolti nel sodalizio criminale e denunciati, a vario titolo, per reati tributari.
Gli illeciti ipotizzati dalla Finanza – Gli illeciti ipotizzati, come si legge nella nota diramata dalla finanza, a carico delle 8 persone fisiche denunciate – tra cui il titolare di uno studio commercialista, non raggiunto da provvedimenti cautelari – vanno dall’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, all’infedele ed omessa presentazione delle dichiarazioni, fino all’occultamento di documentazione contabile; nei confronti di 7 soggetti è stata, altresì, contestata l’associazione per delinquere.
Le indagini, in particolare, hanno preso avvio da un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta individuale operante a Livorno nel settore della vendita di prodotti informatici e, secondo quanto specificano i finanzieri nel comunicato stampa inoltrato alle redazioni: “hanno fatto emergere l’esistenza di un’organizzazione finalizzata ad evadere l’Erario, riconducibile al dominus livornese Maurizio Bianchi, destinatario, insieme al suo “braccio destro” (E.M. le iniziali diffuse dalla finanza ndr), di custodia cautelare domiciliare. Obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, invece, a carico dei due formali rappresentanti legali delle società di comodo (di fatto amministrate da Bianchi), tali F.B. e M.F., rei di aver sistematicamente emesso fatture per operazioni inesistenti a 3 imprese delle province di Bolzano ed Avellino
Le attività svolte dagli Organi inquirenti, dirette personalmente dal Procuratore della Repubblica, Cons. Ettore Squillace Greco e dai Sost. Proc. Dott.ssa Arianna Ciavattini e Sabrina Carmazzi, hanno consentito di individuare, all’interno della menzionata associazione, 9 persone giuridiche (2 ditte individuali e 7 società), con un giro di fatture false, tra emesse ed utilizzate, pari a circa 60 milioni di euro.
Le indagini punto per punto- Secondo quanto si legge nella nota stampa diffusa dalla finanza le investigazioni, iniziate nel 2015, hanno permesso di ascrivere l’ipotesi fraudolenta al sistema del “carosello fiscale”, attuato tramite triangolazioni fra le società coinvolte al semplice scopo di evadere l’Iva, nel settore del commercio dei prodotti elettronici (quali telecamere, macchine fotografiche, cellulari, computer, navigatori satellitari, ecc.), destinati alla grande distribuzione nonché al commercio al dettaglio via web.

Quelle che per la Finanza erano le “cartiere” – Gli imprenditori, infatti, hanno appositamente costituito ditte individuali e società cosiddette “cartiere”, aventi sedi formali tra le province di Livorno, Pisa e Bologna, ma di fatto tutte gestite a Livorno. Le imprese, prive di struttura imprenditoriale, acquistavano ingenti quantità di prodotti hi-tech direttamente dai fornitori comunitari (francesi e tedeschi); in realtà la merce non veniva consegnata alle ditte che avevano effettuato l’ordine, ma direttamente agli effettivi destinatari, beneficiari della frode, uno di Bolzano e una imprenditrice avellinese. Le cartiere quindi, venivano interposte, facendo da filtro, nelle transazioni commerciali tra i fornitori europei e le società operative campana ed altoatesina, effettuando gli acquisti comunitari di beni, che poi rivendevano sul territorio nazionale solo formalmente, perché la merce era già stata recapitata ai destinatari, accollandosi, conseguentemente un debito I.V.A., che poi non versavano all’Erario.

Dal punto di vista documentale le operazioni erano contabilizzate nel seguente modo: le ditte\società di comodo – inadempienti agli obblighi tributari – ricevevano le fatture dai fornitori comunitari, senza applicazione dell’I.V.A. (in virtù del meccanismo del cd. Reverse charge, applicato per le cessioni all’interno di Stati dell’Unione Europa), procedevano poi ad emettere fattura, rivendendo il bene – questa volta con applicazione dell’imposta sul valore aggiunto – a favore dei predetti acquirenti effettivi, ad un prezzo imponibile inferiore a quello praticato dai fornitori comunitari (dunque, sottocosto) contravvenendo a qualsivoglia logica di guadagno. Con l’applicazione dell’I.V.A. al 22% il prezzo complessivo della merce era di poco superiore a quello originario: quindi, i beneficiari ricevevano i prodotti ad un prezzo unitario indebitamente (ed estremamente) concorrenziale, che consentiva loro di collocarsi in una posizione privilegiata sul mercato. Per tutti i soggetti interposti, il meccanismo garantiva, invece, un elevato profitto, rappresentato dall’I.V.A. non versata all’erario, illecitamente ripartita tra il dominus della frode e gli amministratori (reali e di fatto) delle cartiere.
Le investigazioni hanno permesso di fare piena luce sul ruolo di primissimo piano svolto dal soggetto livornese dominus della frode, peraltro già noto alle Fiamme Gialle labroniche in quanto denunciato nel 2011 per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e omesso versamento di I.V.A.. Tutte le decisioni operative, riguardanti la gestione delle attività di acquisto e vendita delle diverse imprese, venivano assunte in una palestra dove lo stesso aveva fissato il suo quartier generale e presso cui le Fiamme gialle e i funzionari doganali hanno sequestrato documentazione contabile ed extracontabile riconducibile alle imprese cartiere ed eseguito copia forense dei computer utilizzati per la gestione, la fatturazione e la rendicontazione degli acquisti e delle vendite.
Nel corso delle indagini è anche emerso il rilevante apporto, per la realizzazione del meccanismo fraudolento, del commercialista “di fiducia” dell’imprenditore, titolare di uno studio commercialista a Pontedera. Contributo fondamentale, il suo, per ostacolare le attività di controllo: tenutario delle scritture contabili di tutte le imprese coinvolte e incaricato della registrazione delle fatture, il commercialista aveva fatto in modo di fissare presso il proprio studio la sede legale delle società e aveva presentato, per le stesse, dichiarazioni fiscali con importo pari a zero. In questo modo, le imprese non risultavano formalmente evasori totali (stante, appunto, la presentazione delle dichiarazioni), sebbene non dichiarassero all’Erario né redditi né volume d’affari. Denunciato, a titolo di concorso, per i reati tributari ascritti agli altri indagati, è stato oggetto di una perquisizione domiciliare e presso lo studio commerciale, dove è stata sottoposta a sequestro tutta la documentazione relativa al ritenuto meccanismo fraudolento.

L’attività ha consentito anche di quantificare, per il momento, in oltre 4 milioni di euro il profitto illecito percepito dai membri dell’associazione a delinquere: a conclusione della prima fase delle indagini, il Tribunale di Livorno ha emesso un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del prezzo o profitto dei reati ascritti a ciascun indagato, fino a concorrenza di euro 4,3 milioni, al fine di scongiurare il rischio che questi si spogliassero delle disponibilità finanziarie e delle proprietà mobiliari ed immobiliari. In sede di esecuzione dei provvedimenti cautelari, che hanno visto l’impiego di 30 militari del Corpo e di 13 funzionali doganali, sono stati sottoposti a sequestro 2 immobili siti in Livorno del valore di circa 300.000 euro, 2 autovetture (una Mercedes e una Volkswagen Tiguan) e disponibilità liquide.
Contestualmente, le perquisizioni domiciliari e presso le sedi formali ed effettive delle società sono state finalizzate all’acquisizione di documentazione contabile ed extracontabile prodotta dagli indagati, che consentirà, nel prosieguo delle attività, di quantificare nel suo complesso l’intera materia imponibile sottratta a tassazione.

L’attività si inserisce nel contesto delle investigazioni volte, sulla base delle direttive fornite dal Procuratore Capo della Repubblica di Livorno, all’individuazione e all’aggressione dei patrimoni illeciti da parte della criminalità economica, a tutela dell’Erario e delle imprese puntualmente ottemperanti agli obblighi fiscali.

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