Otello Chelli, figlio de “La Venezia”, ricorda com’era il suo quartiere
di Roberto Olivato
“Chiedere l’intercessione dei Santi nelle nostre preghiere aiuta noi ed i nostri defunti ad avvicinarci al Paradiso.” Queste le parole di padre Emilio Kolaczyk parroco della chiesa di S. Ferdinando, in occasione della Messa per i defunti del quartiere della Venezia, i cui nomi sono gelosamente custoditi da diversi anni da Gino Corradi veneziano doc ed uno degli organizzatori della decennale iniziativa. Prima della lettura dei nomi, letti da due giovani nipoti di veneziani Michela Sgarallino e Gabriele Pericoli, ai quali è stato passato simbolicamente il testimone da Otello Chelli il più anziano dei veneziani, il parroco ha ricordato il Beato Pio Alberto Del Corona nato in viale Caprera ed all’intercessione del quale ha affidato i defunti del quartiere. E’ proprio Chelli, autore di diversi scritti sul quartiere, a parlarcene a margine della celebrazione Eucaristica.
Otello, che cosa ha di diverso la Venezia dagli altri quartieri?
“Forse è meglio dire cosa aveva. Oggi è scomparso quel senso di appartenenza che faceva sentire gli abitanti del quartiere un’unica famiglia. Un popolo a sé stante chiuso dai suoi ponti, ma caratterialmente aperto come tutti i livornesi”.
Ci descriva meglio l’appartenenza…
“Una nascita era una festa per tutti, un morto era un lutto per tutti ed il quartiere sembrava camminare in punta di piedi. Nei matrimoni si ballava e cantava sino a tarda notte. Una volta al mese, d’inverno si accendevano i fuochi, tutte le famiglie si ritrovavano in viale Caprera a mangiare pietanze portate da casa, poi con chitarra e fisarmonica sino a notte a cantare stornelli, con voci di uomini e donne che avrebbero potuto diventare cantanti famosi ma che rimanevano qui”.
Quando finirono queste usanze?
“Subito dopo la guerra a seguito della distruzione del quartiere, avvenne quella che chiamo diaspora e cioè la dispersione dei veneziani per la città, anche se poi il punto d’incontro per tutti rimaneva la Venezia”. Dalle lenti dei piccoli occhiali traspare la nostalgia che accompagna Otello, da quando abbandonò il quartiere che lo vide nascere, dove mosse i primi passi innamorandosi del suo quartiere.
“Sin da bambino ho sempre dormito poco, tre o quattro ore per notte, così a cinque anni verso le quattro del mattino giravo per il quartiere per raggiungere lesta dei Risi’atori il barcone dal quale vedevo da Borgo Cappuccini, fino alla Gorgona, tutta la mia Venezia”.
Ricordi, che ascoltati nella ricorrenza dei defunti veneziani, hanno permesso di rivivere la vita e le emozioni di alcuni particolari livornesi, i “veneziani”, che anche se oggi non più presenti fisicamente ad abitare case e vicoli, continuano a tramandare a figli e nipoti la fierezza del senso di appartenenza alla storia del quartiere più antico di Livorno.
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